Tante case antiche, nei nostri villaggi di montagna, presentano una trave di colmo particolarmente elaborata: spesso vi è inciso l’anno di costruzione e non è raro trovarvi anche un’immagine sacra.
Se proviamo a immaginare concretamente la scena dipinta di Gesù, comprendiamo perfettamente che chi ha una trave nell’occhio – immagine volutamente eccessiva, perché una trave, con la sua solidità e il suo spessore, copre il viso intero – non riesce a vedere nulla. La pagliuzza, invece, non ci impedisce del tutto di vedere: ci annebbia la vista, può provocare infezioni che portano a deformare la realtà, può portare alla lacrimazione, ma apparentemente vediamo bene, vediamo ancora, vediamo in misura sufficiente da accorgerci dei difetti degli altri e, magari, da volerli correggere. Senza accorgerci che non siamo nelle condizioni per farlo, senza accorgerci che il lieve fastidio che la pagliuzza provoca in noi non ci rende obiettivi, modifica la nostra percezione della realtà e, a lungo andare, può compromettere seriamente la nostra capacità di vedere.
Gesù ci invita ad andare in profondità, a scendere nel nostro cuore, perché è proprio lì che affonda le radici la nostra capacità di vedere, di prendere consapevolezza di ciò che ci sta intorno e anche la nostra capacità di metterci in sintonia con Dio. «L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene»: se muoviamo da questo punto di partenza, siamo costantemente orientati a cercare quanto c’è di buono nel fratello e nella sorella che incontriamo, che vediamo, con cui condividiamo il nostro cammino di vita e il nostro percorso di fede, anche se magari c’è qualche atteggiamento da correggere o da migliorare. Se il nostro cuore è abitato da un tesoro buono, difficilmente il nostro sguardo e la nostra parola saranno contaminati dalle pagliuzze di male che possono colpirci.
Siamo nell’anno giubilare che Papa Francesco ha voluto dedicare alla speranza: mercoledì, con l’austero rito delle Ceneri, inizieremo il cammino di Quaresima, che ci porterà alla Pasqua di Risurrezione. Rischiamo di vivere questi momenti di grazia, di penitenza e di riconciliazione con uno sforzo volontaristico, con la volontà di purificare i nostri atti esteriori e le nostre azioni senza entrare nel nostro cuore, senza andare a controllare quale tesoro abbiamo depositato e alimentato, senza scendere nella profondità di noi stessi per farci illuminare dalla presenza confortante e risanatrice di Dio.
Le nostre parole – ci ricorda la sapienza del libro del Siracide – tradiscono non tanto la nostra esteriorità, ma quello che ci abita dentro: le azioni più belle – potremmo parafrasare così – non necessariamente sono motivate da un tesoro sovrabbondante, perché possono essere frutto di una volontà di mettersi in mostra, di un dovere a cui si obbedisce senza convinzione, di un semplice atto di volontà.
In questa domenica, ispirati dalla Parola di Dio, vogliamo riscoprire il tesoro che ci abita: lo Spirito Santo, che ci è stato donato nel giorno del Battesimo e confermato nel giorno della Cresima, ha spalancato il nostro cuore agli «stessi sentimenti di Cristo Gesù», che sono il tesoro buono che ci è stato affidato per diffonderlo, con le parole, con le opere, con uno sguardo che invoca conversione per poter vedere la presenza di Dio nelle realtà che incontriamo, che viviamo, con cui a volte ci scontriamo, senza presumerci vedenti, senza supporre che nel nostro sguardo non ci siano pagliuzze.
«Ciò che dal cuore sovrabbonda»: la nostra testimonianza di cristiani e di credenti diventa credibile e autentica solo se scaturisce dal tesoro dell’amore di Dio, che è stato riversato in misura esagerata nel nostro cuore. Il Giubileo, il cammino quaresimale ci aiutano a scoprire questo. Forse ci sembra poco: in realtà, cambia tutta la nostra vita, dalle radici, dal cuore. Cambia l’albero. Cambia il frutto.