26.ma domenica del tempo ordinario - Anno A

Gesù chiede un parere: Che ve ne pare?

a cura di un parroco di montagna

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Chi fa la volontà di Dio: uno che sfacciatamente dice No! Non ho voglia! o uno che dice Signorsì! come un soldatino o una giovane recluta e poi non fa niente?

Rispondendo alla domanda Chi ha fatto la volontà del Padre? (la cui risposta è ovvia) si dà un giudizio su sé stessi.

I figli che alla fine non vanno nella vigna a lavorare pare siano gli uomini religiosi: scribi e farisei al tempo di Gesù, membri della comunità incoerenti e pigri al tempo di Matteo e anche cristiani di oggi.

Questo vangelo è uno specchio per noi: siamo invitati a guardare dentro noi stessi e vedere la risposta che diamo nella vita alle parole di Gesù che ascoltiamo.

Forse capita di dire belle parole col canto e con la liturgia, ma non è che assieme al sì ci sia pure il no? Non è che ci si dimentichi di onorare Dio con le nostre opere, dopo averlo onorato con le belle parole?

E se altri che non vengono in chiesa (e lo dicono spudoratamente!) poi si pentono? Chi disobbedisce apertamente vede meglio i suoi peccati. È solo chi non vede i propri peccati che non può convertirsi. Gli osservanti magari non sentono il bisogno di cambiare vita e intanto forse restano attaccati ai loro vizietti nascosti.

Gesù vuole che apriamo gli occhi. Per questo il vangelo di Matteo è così duro e dice: Le donne e i pubblicani, che vendono la loro dignità, vi sorpassano nel Regno dei Cieli! Parla così per svegliarci. E allora, mentre riconosciamo le nostre disobbedienze nascoste, scopriamo che Dio può guarire.

Non possiamo sorvolare oggi sulla seconda lettura, che è incoraggiante e consola un po’.

S.Paolo esorta i suoi cristiani a andar d’accordo sempre tra loro. Scrive: Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso.

Questa umiltà era un discorso insensato per gli antichi, greci e romani, ma per noi moderni non è tanto diverso!

È Gesù che insegna con il suo esempio. Gesù rovescia l’arroganza di Adamo che voleva essere come Dio: viceversa Gesù, che era nella condizione di Dio, non ha tenuto gelosamente per sé l’esistenza gloriosa, sottratta ai limiti della condizione umana, ma ha fatto dono di sé. Svuotò sé stesso, assunse la condizione umana. Anziché difendere la sua esistenza gloriosa (sottratta alla debolezza, alla sofferenza e alla morte), ha scelto di essere uomo comune, normale come tutti, anzi inferiore e sottomesso come un servo.

Per i greci e i romani, “servo” era considerato un uomo inferiore, che non conta niente. Per gli ebrei, “servo” aveva un senso religioso: servo umile era uno totalmente sottomesso a Dio, accompagnato dalla fiducia di chi si sente bisognoso e non sa a chi altri appoggiarsi. Colui che è servo davanti a Dio, sta con gli altri allo stesso livello, servendo anziché dominando, chinandosi anziché elevandosi.

Gesù ha rivelato Dio abbassandosi fino alla morte di Croce, cioè fino a condividere la sorte dell’ultimo degli uomini.

A questo punto, occorre cambiare completamente l’idea di Dio abituale e ovvia: all’idea di Dio-potenza si deve sovrapporre l’idea di Dio che è condivisione-solidarietà.

E questo è un Dio vittorioso, mica un Dio sconfitto!