I due martiri e il loro culto nella diocesi di Belluno-Feltre

I santi Vittore e Corona sono due martiri, uccisi in Siria nel 171. La loro vicenda è raccontata in documenti di un paio di secoli successivi al martirio scritti in latino, in greco ed in siriaco. Secondo tali documenti, Vittore era un soldato romano di stanza in Siria. Accusato di essere cristiano, viene condotto davanti al giudice Sebastiano che lo invita a rinnegare la fede per aver salva la vita. Rifiuta e viene sottoposto a diversi supplizi (gli spezzano le dita delle mani, gli cavano gli occhi, lo tormentano col fuoco e, quindi, lo uccidono tagliandogli la testa). Corona era la moglie sedicenne di un commilitone di Vittore. Vedendo il coraggio del martire, si dichiara lei pure cristiana e viene immediatamente condannata ad essere squartata, legata per le gambe a due palme piegate a forza e poi lasciate andare. Le reliquie dei martiri sono state portate prima a Cipro, quindi a Venezia e, verso il Mille, a Feltre.

Tra il 1096 ed il 1101 viene costruita dal grande feudatario Giovanni da Vidor, in loro onore, il santuario sul monte Miesna, dove i loro resti sono conservati. Il santuario da allora è stata meta di pellegrinaggi dei devoti, soprattutto nelle due feste del 14 maggio (festa liturgica) e del 18 settembre (“San Vetoret”, che ricorda l’arrivo sul Miesna delle Reliquie). Le devozione ai due martiri è diffusa anche al di fuori del territorio dell’antica diocesi di Feltre, che li aveva eletti a Patroni, soprattutto nel Trevigiano e nel Trentino, ma anche nel Bellunese (Gosaldo, Lentiai) ed in Oriente (cfr. M. Giazzon, Il culto dei santi martiri Vittore e Corona nell’antica diocesi di Feltre, Feltre 1991, 191).

Sul Santuario – insignito del titolo di “Basilica minore” nel 2002 da papa Giovanni Paolo II – sono innumerevoli gli studi prodotti perché è uno scrigno d’arte, oltre che di fede. Costruzione a croce greca, vide modificato il tetto da parte dei fiesolani, che, tra il Quattrocento ed il Cinquecento, costruirono accanto il loro convento, utilizzando il materiale edile dell’antico castello fatto demolire dalla Repubblica Veneta a metà del Quattrocento. È ricco di affreschi di Scuola Emiliana, di Scuola Giottesca e della cerchia di Tommaso da Modena, oltre che di altri autori meno noti.

don Sergio Dalla Rosa