Arte e spiritualità

Il Corpus Domini e la prefigurazione eucaristica in Cesare Vecellio

La Scrittura descrive Melchisedex come «sacerdote del Dio altissimo»

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La solennità del Corpo e Sangue di Cristo (Corpus Domini), nel suo percorso liturgico, ci invita a riflettere sulla figura di Melchisedek, un episodio narrato nel libro della Genesi (14,17-20) e proposto nella prima lettura. Il racconto biblico narra che, al ritorno di Abramo dalla vittoria su Chedorlaòmer e i re a lui alleati, il re di Sòdoma gli andò incontro nella valle di Save. In quel frangente, Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino. La Sacra Scrittura lo descrive come «sacerdote del Dio altissimo» e ci riporta le sue parole di benedizione ad Abramo: «Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici». Abramo, in risposta, gli diede la decima di tutto.

Questo incontro è denso di significati: Abramo, vittorioso dalla battaglia, dona una decima del bottino e riceve benedizione e un’offerta simbolica di pane e vino da Melchisedek. Il nome stesso di Melchisedek, «il mio re è giusto», e il suo titolo di re di Salem («pace») prefigurano il ruolo messianico. L’episodio, infatti, viene ripreso da san Paolo nella Lettera agli Ebrei, dove l’Apostolo, in una sorta di commento esegetico, identifica in Melchisedek, «sacerdote in eterno», una chiara prefigurazione di Gesù. Cristo, nuovo re e sacerdote, instaura un sacerdozio eterno che sostituisce l’antico sacerdozio levitico. La tradizione patristica, inoltre, ha interpretato il pane e il vino offerti ad Abramo come una figura del sacrificio eucaristico. Non a caso, questo episodio veterotestamentario, insieme ai più diffusi Caduta e raccolta della manna e all’Ultima Cena, era un soggetto scelto per le raffigurazioni pittoriche nelle pareti laterali del presbiterio, ai lati dell’altare, proprio per la sua intrinseca valenza eucaristica.

Nella diocesi di Belluno-Feltre, la scena dell’Incontro tra Abramo e Melchisedek trova una significativa espressione nel celebre telero di Cesare Vecellio. Quest’opera, eseguita nel 1599 per la chiesa servita di Santo Stefano di Belluno (oggi visibile sulla parete settentrionale della chiesa), era in origine collocata proprio nel presbiterio, destinazione che spiega l’angolazione prospettica del fondale architettonico e la scelta del soggetto. Successivamente, nel 1604, Francesco Frigimelica dipinse per la parete di fronte il dipinto raffigurante la Caduta e raccolta della manna, creando un interessante dialogo iconografico.

Per evocare la campagna militare contro i re pagani, Abramo, proteso a mani giunte verso il sacerdote, e i suoi uomini sono ritratti con l’abbigliamento tipico del soldato romano. L’abito di Melchisedek, invece, segue fedelmente la descrizione del sommo sacerdote Aronne contenuta nelle Sacre Scritture: l’orlo inferiore dell’efod, il ricco paramento sacro dell’antico culto ebraico, indossato esclusivamente dal gran sacerdote, è ornato dall’alternanza di campanelli d’oro, il cui tintinnio richiamava il popolo di Israele alla spiritualità, e melagrane, simbolo di abbondanza.

L’episodio veterotestamentario si svolge in primo piano ed è dominato da un monumentale arco di trionfo all’antica, arricchito da rilievi decorativi e statue. Tra queste, spicca in modo particolare la statua nella nicchia sinistra, raffigurante un personaggio bendato e con le mani tagliate. Questa è un’originale invenzione iconografica del pittore, che si configura come una personificazione allegorica della Giustizia, forse in riferimento ad Abramo (Gen 15,6) e al significato del nome Melchisedek. Altre interpretazioni la vedono come un’allusione agli idoli pagani o alla condizione di cecità e sconfitta dei popoli vinti.

Nato da una commissione ufficiale del podestà e del Consiglio cittadino, il dipinto di Cesare Vecellio intreccia sapientemente politica, religione e milizia, perseguendo finalità dottrinali, celebrative e civico-istituzionali. In questo contesto si spiega l’inserimento del rettore veneziano Marcantonio Correr. Egli è messo in rapporto con il sacerdote Melchisedek, del quale sembra imitare il gesto di benedizione, e con il giovane sottostante che tiene la cesta del pane, chiara allusione alle provviste di grano e cereali per il Fondaco delle biade di Belluno. Correr sembra quasi identificarsi con Melchisedek, in cui si fondono potere temporale e spirituale, fungendo da modello esemplare di sovrano e metafora della stessa Venezia (il cui governo, notoriamente, interveniva anche in materia ecclesiastica). L’opera diventa così un’orgogliosa affermazione del suo mandato, incentrato sui valori della giustizia e della pace, e teso a garantire l’approvvigionamento e l’abbondanza per la città, soprattutto in tempi di carestia.

Sullo sfondo, una dettagliata scena urbana prospettica è incorniciata dal fornice dell’arco. Lungo la via, un piccolo gruppo di personaggi, alcuni abbigliati all’orientale con turbanti, viene scortato da un esercito di soldati e cavalieri. Questo dettaglio può essere interpretato come un “monito visivo” a combattere la minaccia del nemico turco, al tempo della realizzazione del quadro molto attuale, sotto l’auspicio di una benedizione divina, associando indirettamente i popoli vinti da Abramo ai Turchi.

Giorgio Reolon