Sabato 11 ottobre 2025, nel santuario della Beata Vergine delle Grazie di Udine, il giovane bellunese Michele Reolon ha emesso la sua professione religiosa perpetua nella Società di San Francesco di Sales, insieme ad altri due consacrati, Elia Rubin e Giulia Collodel.
La celebrazione, presieduta da don Silvio Zanchetta, ispettore dei Salesiani del Nordest, è stata un momento intenso di fede, gioia e riconoscenza. La Professione Perpetua rappresenta per un salesiano il passo definitivo: il “sì” totale e per sempre, pronunciato davanti ai confratelli e alla comunità ecclesiale, come risposta d’amore alla chiamata di Dio nel donarsi interamente a Lui e nel servizio ai giovani.
Le radici a Belluno
Michele, 29 anni, è nato e cresciuto a Belluno, in una famiglia che gli ha trasmesso la fede. Fin da bambino ha respirato l’atmosfera familiare e gioiosa della casa salesiana: ha frequentato la scuola elementare e media all’Istituto Salesiano “Agosti”, portando con sé la passione per l’oratorio e l’animazione dei più piccoli durante gli anni del liceo. «Nella casa salesiana di Belluno – racconta – ho vissuto per tredici anni. Posso dire di esserci cresciuto, lì dentro: la scuola, i chierichetti, l’Associazione Domenico Savio, l’oratorio, l’animazione, i Grest, gli ex-allievi… tutto. L’allegria, lo spirito di famiglia, il sentirmi a casa mi davano gusto di vivere. Durante gli anni delle superiori, quando non tutto andava liscio, l’oratorio era il luogo in cui ritrovavo pace. In quell’ambiente di vita e di fede mi sono sentito voluto bene, accolto, e lì Dio mi ha scovato».
La chiamata e la svolta
Dopo la maturità al liceo classico Lollino, Michele aveva intrapreso un percorso di recitazione per diventare attore. La svolta arrivò il 31 gennaio 2016, giorno della festa di don Bosco: «Ero ad un incontro di formazione per animatori e volontari dell’Odar a Col Cumano, non in oratorio. Durante la Messa, due versetti della Parola di Dio mi hanno trafitto il cuore. Erano gli stessi che avevano accompagnato un mio sogno vocazionale anni prima. In quel momento ho capito che Dio mi voleva per sé. Mi ha tagliato la strada!».
Da quell’incontro è iniziato il cammino di formazione verso la vita consacrata salesiana. «Alcuni salesiani – confida Michele – mi hanno aiutato a prendere sul serio la proposta di don Bosco. Ricordo quando don Claudio Sponga mi iscrisse, senza chiedermelo, a un’esperienza vocazionale: il DB Live. Lì ho sentito riemergere il desiderio nascosto di vivere per sempre l’oratorio, di spendermi per i giovani. Dio ha fatto il resto».
“Il sì di Dio verso di me”
Dopo il Noviziato a Pinerolo, Filosofia a Nave (Bs), tirocinio prima a Mogliano Veneto e poi a Verona, dallo scorso anno Michele frequenta i corsi di Teologia alla Pontificia Università Salesiana di Torino, in preparazione all’ordinazione sacerdotale. La Professione Perpetua, spiega, non è soltanto un traguardo ma una sorgente da cui ripartire: «Per me – dice – la Professione Perpetua è innanzitutto il sì di Dio verso di me, per sempre. È il desiderio di Dio che io Lo segua dovunque. Io provo semplicemente a rispondere, sapendo che dovrò dire tanti “no” a me stesso per poter dire un “sì” pieno a Lui. È come un tir che ti arriva addosso: grande, misterioso, ma pieno di amore».
Durante la celebrazione, i tre candidati sono stati chiamati per nome e hanno risposto “Eccomi”, segno della loro disponibilità totale. Il momento più toccante è stato quello della preghiera delle litanie, con la prostrazione davanti all’altare: un gesto di abbandono, di fiducia e di affidamento totale a Dio. Poi la lettura della formula di professione, con la quale Michele e i suoi compagni si sono consegnati interamente a Dio, seguita dall’abbraccio dei confratelli e delle consorelle, segno dell’accoglienza definitiva nella Famiglia Salesiana.
La festa è continuata in un clima di gratitudine e fraternità presso l’Istituto Salesiano “Bearzi” di Udine, con tanti amici, giovani e familiari presenti.
“Diffidate della tristezza!”
Nel 150° anniversario delle spedizioni missionarie di don Bosco, Michele sente la vocazione come una chiamata alla missionarietà del quotidiano, nel cuore dei giovani: «Essere missionario – spiega – significa stare con i giovani, voler loro bene, intrecciare relazioni buone. Dio passa attraverso i legami. È un lavoro lento, ma è lì che si annuncia il Vangelo: nella vita condivisa».
E ai giovani, con il suo sorriso contagioso, rivolge un augurio che sa di don Bosco: «Diffidate della tristezza! Non seguite ciò che profuma di disperazione! Non trattatevi male. Alzate gli occhi: ci sono panorami meravigliosi che vi attendono. L’unico modo per gustare la felicità è donarsi, dare un pezzettino di sé a chi ha sete di amore. Solo Dio ce lo insegna e solo mano nella mano con Lui lo si può vivere».