Il primo incontro di aggiornamento per insegnanti di Religione cattolica della scuola secondaria, il 15 novembre scorso, ha messo al centro la relazione educativa insegnante-allievo. Un argomento già scontato e sviscerato a ogni appuntamento di formazione? Sì e no. Il taglio offerto dalla relatrice Elisabetta Bellomo, psicologa e coordinatrice della Fism di Belluno, ha permesso di indagare la dimensione della tenerezza in modo originale e approfondito. Nelle relazioni interpersonali e in particolare nella relazione educativa questo sentimento «non occasionale, è atteggiamento che caratterizza la personalità» (Galimberti). Nell’aula magna del Seminario gregoriano sono risuonate espressioni, definizioni, testi e domande che hanno attraversato la storia dei miti, delle religioni, della psicologia e pedagogia, fino alle scoperte delle neuroscienze. Al centro quindi la riflessione sugli insegnanti che diventano punti di riferimento per i ragazzi adolescenti, che hanno bisogno di “essere visti” per maturare fiducia in se stessi e nei rapporti interpersonali e sociali.
«Nella percezione comune la tenerezza evoca momenti belli e anche dolorosi, è un senso di commozione dolce e profonda che si prova nei riguardi di altra persona per amore, affetto, compassione. Il sostantivo tenerezza deriva dal verbo tendere, “tendere verso l’altro”, accogliere l’altro, farsi spazio ospitale per l’altro. Ma significa anche molle, pieghevole, a indicare un aspetto di fragilità e arrendevole cedevolezza».
La dottoressa Bellomo nel suo excursus ha richiamato un ampio spettro di significati, riconducibili a particolari stati affettivi, ma anche frutto di pregiudizi e discriminazioni (pensiamo all’attribuzione negativa e di limite se declinata al maschile). È necessario fare chiarezza, ricordando che la possibilità di manifestare la tenerezza è un elemento costituente e imprescindibile per uno sviluppo psicofisico armonico dell’individuo, senza distinzione di genere.
Se è vero che fra tenerezza (gesti di cura e attenzione) e la fase dell’adolescenza c’è ambivalenza, è anche vero che la scuola e la realtà in cui vivono i ragazzi dai 13 ai 19 anni offre “appartenenza e incoraggiamento” proprio nell’oscillazione tra la manifestazione dell’”io ci sono” (guardami) e “che balle!” (mi stai scocciando).
«La tenerezza è anche la capacità di vedere e tollerare che l’altro si allontani, nel senso di quel separarsi psichico che si potrebbe aggiungere; è necessario affinché l’adolescente possa individuarsi come adulto». Ci vuole la capacità di “vedere” l’altro e riconoscerlo, ponendo anche i necessari limiti con tenerezza. Senza considerazione e accoglienza dei nostri bisogni non raggiungiamo la maturità.
La relatrice ha quindi fatto un affondo nella tradizione cristiana: i Vangeli sono intrisi di tenerezza. Gesù di Nazareth che è descritto nella sua umanità come una forte personalità, capace di affrontare pubblicamente i detentori del potere della legge, è soprattutto capace di profonda tenerezza sia verso i più piccoli, sia verso gli adulti, ai quali mostra particolare attenzione terapeutica, soprattutto nell’accoglienza delle loro fragilità.
I docenti si son portati a casa un messaggio da rielaborare: la tenerezza attiva compassione, non empatia; il circuito della compassione (soffrire e gioire insieme) può essere allenato a qualsiasi età. Questo implementa il benessere. Provare per credere.
Paola Barattin