27.ma domenica del tempo ordinario - Anno A

La vigna è il suo popolo

a cura di un parroco di montagna

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La vigna di Dio è un argomento frequente nella Bibbia. La vigna (o, se vogliamo, l’orto di Dio) è il suo popolo.

I profeti ripetono, con monotonia, che Dio lo coltiva con cura ma i risultati non ci sono. Da una parte l’amore premuroso del Signore e dall’altra un tradimento continuo. Abbiamo letto Isaia nella prima lettura: «Or dunque, uomini di Giuda e abitanti di Gerusalemme, siate voi giudici fra me e la mia vigna. Dio si aspettava uva pregiata ed ebbe uva acerba, si aspettava giustizia e rettitudine ed ecco invece violenza e oppressione».

La parabola di Gesù aggrava l’accusa: il popolo di Dio non solo ha disobbedito a Dio, ma ha tolto di mezzo i suoi profeti e, alla fine, anche il suo Messia. È un duro giudizio per le autorità religiose e avrà come conseguenza che il Regno sarà loro tolto e sarà dato ai pagani: «Vi sarà tolto il Regno dei cieli e sarà dato a un popolo che lo fa fruttificare».

Il Signore risorto fa l’ultimo tentativo di radunare intorno a sé il popolo d’Israele. I dodici apostoli rappresentano le dodici tribù. All’inizio il tentativo sembra riuscire: la comunità credente cresce a Gerusalemme, in modo prodigioso, ma il successo dura poco. Le conversioni di ebrei diminuiscono e si moltiplicano quelle dei greci pagani.

Davanti alla predicazione di Gesù e degli apostoli, gli ebrei si dividono: quelli che credono entrano nella nuova alleanza, gli altri no. La frattura si allarga progressivamente. Il gruppo dei cristiani, formato da ebrei e greci, sono identificati come una nuova religione e, come tali, sono presi di mira con la sanguinosa persecuzione di Nerone. Nel secolo successivo si accentua l’aggressività degli ambienti giudaici verso i cristiani, con accuse presso le autorità romane.

D’altra parte, nei secoli successivi e soprattutto durante il medioevo, si sviluppa nel mondo cristiano una mentalità ostile agli ebrei, considerati ingiustamente deicidi e maledetti da Dio, disprezzati e fatti oggetto di molti pregiudizi. Infine è spuntato nel secolo scorso l’antisemitismo razzista, che è stato alimentato da apporti culturali estranei al cristianesimo: il mito della razza è un’ideologia assolutamente pagana.

Il Concilio Vaticano II raccomanda stima e conoscenza tra cristiani ed ebrei, perché abbiamo la stessa Bibbia, Gesù e gli apostoli, la Madonna, sono ebrei; san Paolo, ebreo osservante e fariseo, ha aperto la porta della fede ai greci e a tutti i popoli.

Il popolo di Dio è sempre unico perché Dio non ha rigettato gli ebrei. Se le autorità ebraiche di Gerusalemme si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quello che è stato fatto a Gesù durante la passione non può essere imputato a tutti gli ebrei. Nell’uccisione di Gesù hanno avuto un ruolo decisivo anche le autorità romane, come ben si sa. Non è assolutamente giustificata l’affermazione che Dio abbia maledetto il popolo ebraico; al contrario, come sottolinea san Paolo, i doni di Dio al popolo eletto sono irrevocabili. La fede cristiana ha le sue radici nell’antico testamento e continua a nutrirsi di esso. L’antica alleanza non è stata revocata ma perfezionata dalla nuova. Gli ebrei, anche se non tutti hanno accettato il vangelo, rimangono popolo di Dio e congiunti al mistero della Chiesa. Non si può parlare di due vie parallele di salvezza e neanche di sostituzione di una con l’altra. Giovanni Paolo II ha chiamato gli ebrei «nostri fratelli maggiori». Essi rimangono depositari delle promesse di Dio. La loro mancata adesione a Cristo è un monito anche per noi cristiani a mantenersi umili e a non presumere troppo di sé.

A noi è affidato il Regno: a noi Dio conceda di produrre quei frutti che si aspetta.