A cura di don Sandro De Gasperi (2ª domenica di Quaresima - anno C)

Nemmeno cinque minuti

L’Eucaristia ci mette in cammino, verso il Calvario, verso il sepolcro, verso la tomba vuota

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

“Ancora cinque minuti!”: quando suona la sveglia, a molti tra noi passa per la testa questo desiderio. Il tran tran quotidiano, la scuola, il lavoro, le faccende da sbrigare – specie nelle giornate più ordinarie – non ci attirano minimamente e preferiremmo starcene sotto le coperte, a sognare.

Pietro, Giacomo e Giovanni sono oppressi dal sonno: probabilmente, non hanno capito perché il Signore Gesù li ha voluti con sé per salire su quella collinetta e ritirarsi in preghiera. Possiamo immaginare il loro orgoglio, sentendosi scelti tra i Dodici: ma una volta arrivati in cima, la noia ha preso il sopravvento. Perché nella preghiera non accade mai niente: Gesù rimane in silenzio, concentrato, per momenti che sembrano interminabili. Ordinaria amministrazione: e invece è proprio in mezzo a questi gesti così quotidiani – persino noiosi, almeno agli occhi degli apostoli – che la realtà si trasfigura.

Che la comparsa di Mosè e di Elia – simbolo della Legge e dei Profeti di Israele, che riassumono tutta la promessa che Dio ha stipulato con il popolo eletto – rivela ai tre, finalmente svegli, che la storia non è conclusa, che c’è una bellezza, un’intensità di vita, una pienezza che ha a che fare con Gesù. È un’intuizione che li lascia senza fiato, senza parole: Pietro prende l’iniziativa ed esprime il desiderio che l’esperienza di cielo si prolunghi. Che ci si possa stabilire, fermare, accampare almeno per godere ancora di quello che sta succedendo.

Allo stupore, all’incapacità di collegare i pensieri, risponde la nube e la voce di Dio: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Seguitelo. «Fate quello che vi dirà», avrebbe detto Maria ai servi incaricati di portare le giare alle nozze di Cana. Fidatevi di Lui. Ricordate questo momento quando le cose sembreranno mettersi male, quando la promessa sembrerà impossibile da mantenere.

Inutile sottolineare che i tre non riusciranno, sotto la croce, a ricordare questo episodio. Inutile ricordare che avranno bisogno di tanto tempo, di tanta pazienza e dello Spirito Santo per mettere insieme i puntini, per capire che la Pasqua inaugura definitivamente il compimento di quella promessa che Dio aveva stipulato con Abramo e che assume, in Gesù, un’ampiezza nuova.

Meditiamo la Trasfigurazione nella seconda domenica del cammino quaresimale: ci viene posta di fronte la meta del cammino, quasi come un assaggio. Anche noi spesso perdiamo di vista la Pasqua: anche noi dimentichiamo la promessa. Anche noi non ci ricordiamo che «la nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (così Paolo ai Filippesi). Anche noi agiamo, parliamo, preghiamo come se la morte avesse l’ultima parola – prova ne sono tanti funerali che celebriamo con ben poco spirito cristiano. Come se la realtà fosse solo quello che vediamo – e generalmente, solo quello che non va, che pesa, che affatica. I tre tornano a casa senza parlare con nessuno, un po’ confusi, senza aver capito granché: forse, anche noi ritorneremo a casa così.

Ma la Pasqua è una realtà che, oggi, nell’ordinarietà di questa Eucaristia, ci ha toccato, che abbiamo intuito, che ci ha rapito il cuore. Che ci mette in cammino, verso il Calvario, verso il sepolcro, verso la tomba vuota. Subito: non possiamo aspettare nemmeno cinque minuti. La vita piena è un affare urgente.