A cura di don Sandro De Gasperi (5ª domenica del tempo ordinario - anno C)

Sogniamo una Chiesa senza sbavature?

Possiamo seguire Gesù, pur deboli, pur fragili, pur peccatori

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Una canzone popolare trentina, La casa del mio ben, racconta la vicenda di una giovane innamorata, che convola a nozze con un uomo di poche sostanze. L’amore che infiamma il cuore della sposa trasfigura la decadente (e poco curata e sporca) casa del marito in un sontuoso palazzo. L’amore – forse ci è capitato per esperienza – rende ciechi – dice il proverbio –, addolcisce i difetti, ridimensiona quello che non va.

Se guardiamo alla Chiesa, spesso il nostro sguardo non è così indulgente: al di là della (motivata) indignazione per gli scandali economici e per gli abusi, siamo abbastanza inclini – tutti, religiosi e preti compresi – a lamentarci, a vedere i problemi e i difetti delle nostre comunità cristiane, le incoerenze delle persone che condividono con noi la fede, i peccati degli altri, le mancanze, quello che potrebbe andare meglio. Sogniamo una Chiesa perfetta, senza sbavature: non è il sogno di Dio. Probabilmente nessuno di noi potrebbe far parte di una Chiesa in cui nessuno sbaglia mai, nessuno pecca mai, nessuno si stufa mai: non è una Chiesa umana, non è una Chiesa in cui la nostra personale storia, con i suoi alti e bassi, può avere diritto di cittadinanza.

Il profeta Isaia, che ci affida il racconto della sua vocazione, ammette candidamente che “un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito”: è il popolo d’Israele, il popolo scelto per stipulare la Prima Alleanza, il popolo liberato dalla schiavitù dell’Egitto, infedele e idolatra.

La pagina di Luca, che riporta la vocazione dei primi discepoli, non censura la sincera richiesta di Pietro, che è consapevole di essere un peccatore e si sente profondamente fuori posto: sono i primi passi di quella comunità di discepoli che sarà chiamata a portare a tutto il mondo il Vangelo che Gesù ha vissuto, predicato e condiviso, di quella comunità che – il Nuovo Testamento lo testimonia a più riprese – procede per tradimenti, paure e incomprensioni su una rotta che lo Spirito Santo continua con pazienza a raddrizzare, a indirizzare e ad accompagnare.

San Paolo, scrivendo alla comunità di Corinto – una comunità tutt’altro che idilliaca e perfetta! – ci riporta al cuore della nostra fede, alla formula essenziale – che, spesso, abbiamo ricoperto con tante tradizioni, tante cose, tante aggiunte belle, ma che ci appesantiscono:

«A voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture».

È l’amicizia di Dio, il suo definitivo sì alla nostra umanità, il Suo entrare – Lui, l’Eterno, l’Altissimo, il Dio della vita! – nel buio della morte, per amore nostro.

La Chiesa nasce dalla memoria grata e viva di questo amore, che ci mette in cammino, rendendoci piano piano – insieme, mai da soli! – un po’ più capaci di essere riflesso di Cristo, trasparenza della Sua vita… senza sopprimere la debolezza della nostra umanità, che a volte ferisce e sporca, anche in modo profondo, la testimonianza che diamo del Vangelo e chiede conversione radicale. Lo sguardo di Dio prende atto che la nostra casa – la nostra vita, la nostra comunità, la nostra Diocesi, la Chiesa universale – è povera, sporca, precaria: ma sogna, guarda a quello che può diventare, investe perché si fida di noi, perché sa che la Sua potenza può trasformare la nostra stamberga nel palazzo che può accogliere il Signore della storia.

Quando intuiamo questo, come Simon Pietro, Giacomo e Giovanni, possiamo lasciare tutto – di nuovo, perché siamo sempre chiamati a lasciare, a partire, a rinnovarci –, anche se la strada è incerta, anche se non mancano le difficoltà e le notti sterili. Possiamo seguire Gesù, pur deboli, pur fragili, pur peccatori. Anche oggi. Anche qui. Per diventare pescatori di uomini, casa aperta e accogliente, segno vivo e credibile dell’amore e della presenza di Dio in mezzo al Suo popolo.