A metà del mese di agosto, proprio nei fasti del ferragosto, ritorna la solennità dell’Assunzione di Maria. Festa grande e bella, che nella nostra diocesi da molto tempo diventa appello per le vocazioni e per il seminario diocesano. Per l’occasione, il rettore monsignor Giorgio Lise ha appuntato queste riflessioni.
«Ormai da anni sappiamo che il Seminario sta cambiando il suo volto: non essendoci più i seminaristi residenti, è giocoforza che cerchi di reinventarsi. Questo, senza perdere la sua identità di fondo che è legata alla Chiesa locale, alla fede, ma anche alla cultura e alla storia di questo territorio: per decenni il Seminario ha gestito anche il Liceo “Lollino”, che ha formato schiere di ragazzi e ragazze della nostra Provincia e che, da settembre, sarà affidato ad altro Gestore.
Ultimamente, il Seminario si è aperto in maniera più ampia per accoglienza e ospitalità, incontri e percorsi di formazione, convegni culturali, rassegne corali anche di particolare livello; tutto, in ambito sia ecclesiale che civile». Non dimentichiamo che è sede del polo didattico dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Giovanni Paolo I ” e della scuola di formazione teologica #pensachefede.
«Inoltre – continua il rettore – il Seminario sta adeguando la struttura per accogliere in maniera dignitosa presbiteri che desiderino vivere in comunità, mettendosi a disposizione per eventuali collaborazioni nella pastorale diocesana o in singole parrocchie. Ovviamente, questo implica reperire risorse, anche economiche.
Avvicinandosi la solennità dell’Assunta, tradizionale occasione in cui le comunità cristiane offrono la loro preghiera e l’aiuto concreto per la vita del Seminario, anzitutto affidiamo all’intercessione materna di Maria, che “risplende nel nostro cammino come segno di consolazione e di sicura speranza”, i quattro giovani della nostra Diocesi che a Trento stanno verificando il loro cammino vocazionale.
Ritengo poi doveroso, in questa circostanza, rivolgere il pensiero al “nostro” Seminario con uno sguardo di “riconoscenza”. Si dirà che, per fare questo, occorre soffermarsi sui “ricordi”, sul “passato”, vivere di nostalgie in un momento in cui, anche dal punto di vista ecclesiale, siamo chiamati invece a guardare il futuro e a camminare verso il futuro. Ma noi non vogliamo indugiare sul passato per restare “ancorati al passato”; al contrario, forti dell’esperienza acquisita, desideriamo procedere su strade nuove, arricchiti e grati per quella che è stata la storia che abbiamo vissuto.
Insomma, la nostra, non è “retrotopia” (come direbbe il sociologo Baumann, cioè una idealizzazione del passato) bensì “un camminare in avanti con gli occhi fissi verso l’orizzonte – come ha scritto Mauro Magatti recentemente su Avvenire – e i piedi ben piantati per terra”, una terra che amiamo nel presente in cui siamo posti a vivere, una terra che desideriamo gioiosamente dinamica verso il futuro a cui aspira, una terra che scopriamo solida grazie al passato che l’ha modellata e fatta crescere.
Questa nostra riconoscenza sia la “chiave di volta” che fa aprire il cuore in quel gesto di generosità che ciascun membro delle nostre comunità vorrà offrire, “secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia” (2Cor 9,7)».