4a domenica di Avvento - anno B

Un Dio che cerca un posto nella nostra vita

a cura di don Giorgio Aresi

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Un’immagine mi ritorna spesso alla memoria, quasi nella nostalgia di un tempo che non torna: il ricordo di volti, sguardi, persone incrociate quando lasciavo l’Università per riprendere la metropolitana e il treno, nel ritorno a casa come in queste sere d’inverno, quando lasciavi proprio la Cattolica e già la sera era calata, e avvolto quasi sempre in quella nebbia che abbiamo imparato a respirare sin da piccoli nella nostra bassa pianura tra Bergamo e Milano. Incrociavi persone assorte nei loro pensieri, che tornavano a casa nel calore degli affetti più famigliari o forse ad affrontare sofferenze e fatiche di incomprensioni e silenzi che frantumano anche gli amori che si credevano inscalfibili alle prove più estreme.

E chissà se tra i tanti pensieri di tutti queste persone  – uomini e donne navigati nelle loro vite, giovani universitari sognatori di un futuro da “dottori”, anziani che ripercorrevano quelle strade consuete ma con negli occhi una Milano che ormai viveva solo nei loro ricordi – chissà se trovava posto il pensiero di un Dio che ama, e che domanda ogni anno di poter “nascere” nel mondo, perché l’uomo di ogni tempo ne riconosca, nel mistero del Natale di Gesù, la sua umanità più vera e la divinità più alta.

Ma allora, questo Dio trova posto dentro questa nostra vita quotidiana, dentro le nostre giornate spesso così convulse e impossibili? Ed è una domanda che abbiamo bisogno di farci, ora che il Natale è a portata di mano, alle porte di questi nostri giorni, vissuto e ormai quasi concluso questo Avvento di attesa. Lo sentiamo questo desiderio di dare un posto a Dio nella nostra vita?…e che posto può trovare dentro la nostra quotidiana avventura umana?

La Parola di questa ultima domenica di Avvento ci aiuta a capire come stiamo vivendo e come riconoscere Dio, senza doverlo cercare chissà dove. La Prima Lettura, quanto accade a Davide, così come leggiamo nel Secondo Libro di Samuele. «Il re Davide, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te». (2Sam. 7,1-3).

Davide vuole costruire una casa per l’Arca di Dio (segno della presenza di Dio stesso). Sembra una cosa buona…ma guarda Davide che bravo che pensa al Signore. Ma c’è un particolare: quando Davide pensa al Signore e a fargli “posto”? Leggiamo: quando si fu stabilito nella sua casa. Si ha l’impressione che Davide voglia “pensare a Dio” adesso che sta tranquillo.

Mi chiedo se non sia la logica che abbiamo anche noi talvolta. Prima metto a posto la mia vita, sono io che decido e voglio e poi…quando non mi manca niente penso anche a Dio che mi stia vicino. E allora dove lo metto?

Ma proprio qui le parole di Jahvè che leggiamo ci fanno capire una cosa: «Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: Così dice il Signore: “Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti?» […] “Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato» (2Sam. 7,4-5.8). Dio non è dove tu lo vuoi mettere. Dio è lì dove tu sei, dentro la tua storia, e fa la tua storia. Dio non è un soprammobile scomodo della serie “guardare ma non toccare”, ma è in ogni istante della tua vita coinvolto con te e con la tua vita.

La fatica allora qual è? Qui arriva il Vangelo, che già abbiamo ascoltato il giorno dell’Immacolata, il racconto dell’annunciazione a Maria. «In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria» (Lc. 1,26-27).

Tutto accade quel giorno, in quella casa, nel quotidiano di una donna che si chiama Maria. Dio è così, entra nella mia vita, quella concreta, quotidiana (un luogo, dei nomi). Dio è un “fatto” reale e nessun miracolo, nessun misticismo dell’ultima ora. Questo è quello che Dio fa nella nostra vita, e la fatica nostra è proprio capire questa fattualità di Dio e concretezza che lui ha di entrare nella nostra vita.

E ti chiede di non aver paura («Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.» v.30). Maria non ha paura, si chiede solamente cosa stia accadendo in quel momento, ma comprende che Dio le sta parlando e per questo si fida. E io mi fido di Dio?

Ed è ancora Maria a venire fuori con quel gesto così semplicemente imponente nella sua bellezza: Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (v.38). Ed io, quanto mi sento libero di dire a Dio “eccomi”, o sono forse prigioniero delle mie paure, della paura che nel momento in cui mi fido di Dio, Lui mi tolga qualcosa?

Ma non è che Dio ti risolva tutto ciò che appartiene alla tua vita.

«E l’angelo si allontanò da lei» (v.38). Sono le ultime parole del Vangelo, e sono forse le più potenti e che ti lasciano lì, sospeso.

Maria, in quell’istante in cui l’angelo se ne va, rimane lei sola, con tutto ciò che le è accaduto, con un bambino da quell’istante concepito nel suo grembo, lei sola nei suoi pensieri e con tutto quello che da quel momento l’attende. La sua vita ora chiede un impegno con la realtà, un impatto con la quotidianità che la porterà sino a sotto la croce e alla risurrezione del suo figlio, quel Gesù che ora porta in grembo con “ineffabile amore” (come ci ricorda il Prefazio dell’Avvento).

Dio c’è ma è lei, Maria, ora a vivere la vita. Ed è questo che noi facciamo, nel momento in cui lasciamo entrare Dio nella nostra vita. Decidiamo noi, liberi di viverla. Ma sicuri che se lasciamo entrare questo Dio nella nostra vita, qualunque cosa sarà è per un Bene più grande, per non consumare, bruciare questa vita che abbiamo, persi dietro solo a ciò che vogliamo.