È l’ambone il terzo polo liturgico che illustriamo, dopo aver parlato della cattedra-sede e dell’altare nelle scorse settimane.
La liturgia che celebriamo chiede che ci sia uno spazio particolare (e non solamente un semplice leggio) dedicato alla proclamazione e all’ascolto della Parola di Dio da parte dell’assemblea riunita. Assieme ad esso, poi, c’è anche la questione del libro: il lezionario, che contiene le letture della Messa, e il libro dei Vangeli, l’evangeliario, che non sempre è presente, ma può contribuire ad arricchire l’esperienza di incontro con il Signore che parla al suo popolo. In qualche modo – speriamo di farlo emergere nelle prossime righe – tutto quello che riguarda la proclamazione della Parola dovrebbe “parlare”, anche al di fuori della celebrazione, anche al di là della viva voce che la fa risuonare nell’edificio sacro.
La storia antica è ricca di amboni ed evangeliari di grande pregio. Molte basiliche antiche presentano un grande luogo riservato alla proclamazione, magari con più leggii ad altezze diverse per differenziare l’importanza delle letture (il Vangelo, che è il culmine della rivelazione, ha sempre il posto più in alto). Chi ha visitato la basilica di San Clemente, a Roma, ha notato uno spazio recintato che “invade” gran parte della navata: tutto il complesso è l’ambone. Pensiamo anche agli amboni istoriati di Nicola e Giovanni Pisano e Arnolfo di Cambio, luoghi in cui la Parola diventa anche immagine.
Anticamente inoltre esistevano molti libri liturgici, uno per ogni ministro: il sacramentario per il presbitero, il lezionario per il lettore, il graduale per il salmista, l’epistolario per il lettore dell’epistola, l’evangeliario per il diacono. Alcuni giunti fino a noi mostrano una cura minuziosa, perché anche dalla bellezza del libro si possa capire immediatamente l’importanza di quanto vi è scritto.
Ci rendiamo conto allora che a rendere presente la Parola è anche tutto il “non-verbale”, tutto un intreccio di altri linguaggi che vanno di pari passo con la lettura. Il libro è fatto per essere letto, ma ancor prima mostrato, baciato, profumato con l’incenso. L’esperienza dell’incontro e della presenza va oltre la parola, va oltre quanto si dice, è più profonda. L’ambone è un “luogo alto” per poter essere uditi meglio (pensiamo a quando non c’era amplificazione), ma anche perché il lettore e il libro siano visti. Esso è il luogo dal quale viene proclamata la Parola di Dio: l’importanza della Parola esige sia un luogo eminente a cui si deve salire, stabile e ben curato, dal quale essa venga annunciata e verso il quale spontaneamente si rivolga lo sguardo di tutti.
Un’attenzione particolare da avere sempre è che l’ambone “deve essere riservato, per sua natura, alle letture, al salmo responsoriale e al preconio pasquale. Si possono tuttavia proferire dall’ambone l’omelia e la preghiera dei fedeli, data la strettissima relazione di queste parti con tutta la liturgia della Parola”. Ogni altro intervento, sia esso un commento, un saluto, la guida del canto, deve trovare un altro posto.
Il nuovo ambone nella nostra Cattedrale è forse il luogo più ardito nella progettazione di questo adeguamento liturgico: esso esce dal presbiterio avvolgendosi, secondo antiche tradizioni, al primo pilastro, così da divenire una sorta di cerniera tra navata e altare.
Prevede una doppia scala sulla quale possono disporsi i vari ministri (diacono, ministranti con turibolo e candelieri) durante la proclamazione del Vangelo. La doppia scala, una per salire una per scendere, parla anche di come, in fondo, proclamare la Parola non può in qualche modo non cambiare chi la proclama. Il leggio che emerge dalla pietra, ruotato verso l’assemblea, si piega e si svolge lungo la parete curva dell’ambone come un “drappo” dorato. Accanto ad esso prenderà posto il Cero pasquale.
Alex Vascellari
Nell’immagine: l’ambone nella basilica di san Clemente a Roma. (Foto da faceboook)