Fm 1,1-25; Sal 71 (70); Lc 5,1-11
«10Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene, 11lui, che un giorno ti fu inutile, ma che ora è utile a te e a me. 12Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore».
Sono parole infinite queste di Paolo. È probabile che fosse attorno ai sessant’anni. L’arte d’amare impegna tutto il nostro vivere. Paolo, il fiero portatore del Vangelo ai pagani, l’impareggiabile apostolo, colui che ha avuto l’ardire di giudicare il comportamento di Pietro, nel momento in cui si dichiara «vecchio e ora anche prigioniero di Cristo Gesù», sembra ripensare tutto quanto ha fatto. Ed, ecco, che cosa resta? Il suo sentire e provare l’amore. A Filemone dichiara: «Ti prego per Onesimo, figlio mio, che ho generato nelle catene […] Te lo rimando lui che mi sta tanto a cuore».
Sì, penso che il Vangelo, che ci è stato donato e affidato, ci porti su questa frontiera dell’amore. Nell’epistolario paolino questa lettera è posta alla fine: la più breve, ma la più intensa. La dottrina elaboratissima di Paolo – come appare nelle lettere ai Galati e ai Romani – è diventata qui un sentire intimo e commosso. Di Filemone Paolo riconosce: «6La tua partecipazione alla fede diventi operante, per far conoscere tutto il bene che c’è tra noi per Cristo».
In questi giorni, negli incontri dei Coordinamenti foraniali, siamo stati colpiti dall’affermazione di papa Leone nel giorno della celebrazione di inizio del ministero, il 18 maggio scorso: «Fratelli, sorelle, questa è l’ora dell’amore! La carità di Dio che ci rende fratelli tra di noi è il cuore del Vangelo». Nei giorni difficili e, a volte, aridi del ministero non ci viene spontaneo pensare che possiamo essere “nell’ora dell’amore”.
A Filemone Paolo prospetta la via evangelica, quella dell’amore: «15Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; 16non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo. […] 17Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso. 18E se in qualche cosa ti ha offeso o ti è debitore, metti tutto sul mio conto». In questo tempo complesso e disincantato, dove la fede stessa sembra sfumare fino a oscurarsi tra mille altri abbagli, Dio si fa inaspettato, imprevedibile, inedito… Può essere l’ora del suo amore!
Come Paolo nei riguardi di Filemone, ci dobbiamo aiutare a non scappare e a non deviare, con le nostre solite questioni, pratiche e attività, dall’ora dell’amore: «20Sì, fratello! Che io possa ottenere questo favore nel Signore; da’ questo sollievo al mio cuore, in Cristo!».
Nel Giubileo biblico si contano 50 anni da sciogliere, in cui liberare gli schiavi e liberarci da tanti possessi sopravvenuti per poterci riavere come “fratelli nel Signore”. Paolo, seppure vecchio e prigioniero, non è solo. Nella lettera dice di esserlo “per” Cristo, “di” Cristo, “in” Cristo e dichiara la vicinanza del «fratello Timòteo», suo collaboratore, della «sorella Apfìa», di Archippo «compagno nella lotta per la fede», di Èpafra «compagno di prigionia in Cristo Gesù». Paolo stesso, nei saluti finali, si fa interprete di Marco, Aristarco, Dema e Luca che chiama suoi collaboratori.
Chiamati da Gesù attorno alla Parola di Dio che lui stesso insegna, ma dalle nostre «barche accostate alla sponda», inizia una non programmata e insolita gettata di reti, prendendo il largo. Si tratta ancora dell’ora dell’amore che può venire inaspettata dopo di aver faticato tutta la notte e non aver preso nulla. Un piccolo “Giubileo della speranza” in cui lasciarci andare, anche a fine corsa, dopo un’inconcludente faticata che impegna per un lungo tempo di veglia e azione. Mi piace Simone, com’è, affaticato fino alla delusione interiore. Ha ancora fiato per un estremo tentativo, a fine corsa, quando proprio non se l’attendeva e non ci sperava. Che cosa appare di assolutamente nuovo che ribalta la delusione umanamente insostenibile di quella pesca fallita per Simone e i suoi compagni? Gesù chiede a Simone di avere ancora il tempo e il coraggio di qualcosa che in quel momento poteva a lui sfuggire. Gli chiede un minimo tempo ancora e una possibilità nuova, un’attesa ulteriore. Sembra dirgli Gesù: «Simone, ho ancora bisogno di un frammento di te e di tutti quelli che ti sono soci: Giacomo, Giovanni, gli altri. Ti chiedo e vi chiedo ancora il tuo e il vostro stupore». A noi, oggi, salito sulla nostra barca, mentre siamo indaffarati a lavare le nostre reti, Gesù ci induce a una fede che accetti di diventare stupore. Ben oltre le nostre pesche infruttuose, Lui induce in una nuova chiamata e missione. Ci invita: «Oggi vi è ancora “l’ora dell’amore”! Gettate al largo le vostre reti. Mi seguirete così: con la libertà e il coraggio di lasciarvi stupire».
Sì: aiutarci a essere disposti e diventare delicati nello stupore, anche nelle sue piccolezze e nei risvolti più inaspettati del nostro ministero, del nostro amore…
