Noi siamo Pentecoste!

Omelia nella solennità di Pentecoste – Cattedrale di Belluno
08-06-2025

At 2,1-11; Sl 103(104); Rm 8,8-17; Gv 14,15-16.23b-26

Sarebbe davvero meschino che in questo giorno in cui celebriamo la Pentecoste noi riducessimo questo celebrare a una festa da fare, a una ricorrenza da organizzare, a un anniversario da ricordare. No, non è nulla di questo la Pentecoste. Le parole dette da Gesù nel contesto dell’ultima cena e appena proclamate mostrano un altro scenario e svelano il cuore del vangelo ossia che la morte e la risurrezione di Gesù ci riguardano massimamente, le portiamo nella nostra carne, in esse siamo stati immersi. È il nostro essere battezzati in Cristo Gesù. Paolo nella Lettera ai Romani che abbiamo ascoltato lo esprime così: «E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,11). Poco oltre Paolo ci consegna questa verità: «Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo» (Rm 8,16-17a).

Ecco la Pentecoste: è questa carne della storia e dell’umanità vivificata dallo Spirito del Risorto.

Potremmo dire: noi siamo Pentecoste!

Noi oggi celebriamo, dunque, quello in cui siamo immersi ed è un destino di vita che ci è stato già donato e in cui siamo stati collocati, anzi radicati gratuitamente. L’unzione con il crisma ricevuta nella Cresima manifesta questa consacrazione.

Il desiderio di vivere che è in noi – che tutti portiamo nell’intimo dei nostri pensieri, dei nostri affetti, dei nostri sogni – e che ci fa temere di ogni morte, ha questo sbocco di risurrezione. Ecco dove Gesù risorto ci incontra, ci cerca, ci guarisce, ci salva: ci dona il suo Spirito che egli riceve dal Padre. È la nostra esperienza di Chiesa, la condizione di Pentecoste a cui la Pasqua di Gesù ci ha iniziati. Nel racconto agli inizi degli Atti degli Apostoli la Pentecoste si traduce in questo annuncio affidato alle parole tanto umane e fragili degli apostoli, dei discepoli e delle discepole di ieri e di oggi. L’autore del racconto degli Atti annota che è possibile udire la loro testimonianza in ogni lingua e presso tutti i popoli. Questa necessità e urgenza di sconfinare, di incontrarsi ovunque, di entrare in comunicazione, di dare fiducia e speranza scaturiscono dal Vangelo stesso. La missione della Chiesa è la stessa Pentecoste che non è assimilabile a nessuno degli strumenti di cui di cui la Chiesa necessita e che ogni giorno possono comprometterne la credibilità se non li utilizza secondo lo stile evangelico.

Ora ritornare alle parole confidenziali di Gesù, con cui egli ha raccolto i suoi sentimenti, la sua esperienza, i suoi pensieri, i suoi desideri, ci permette di avvicinarci alla bellezza del mistero di Dio a cui siamo abilitati, a cui ancora attingere, da desiderare e cercare in modo rinnovato, su cui confidare, per cui ancora lottare contro ogni forma di male che ci soffochi o crei violenza e ingiustizia.

Gesù ai discepoli ha svelato ciò che può cambiare il nostro vivere: «Se mi amate…». Sembra banale ma lo Spirito santo che lui ci ha promesso come “Paràclito” – colui che ci affianca e non ci abbandona, ponendosi dalla nostra parte – sta lì nel più piccolo, purché sincero, frammento d’amore che possiamo attivare in noi. La Pentecoste si accende in noi a partire da tale frammento d’amore. È consolante – come abbiamo proclamato nella Sequenza – quanto Gesù ha reso possibile in noi con la sua Pasqua: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre […]. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,16.23).

Sempre, in ogni istante, siate nella Pentecoste!