Il Saggio mi guardava a lungo. Avevo difficoltà a sostenere il suo sguardo e me ne sottrassi. Sapevo che leggeva nel mio cuore semiaperto, ma, orgoglioso, volevo che egli conoscesse di me solo ciò che gli avrei detto. Mi decisi a parlare e gli raccontai le mie «tempeste» […] Parlavo, parlavo… Più di quanto non avessi previsto. Lui mi ascoltava immobile, tutto raccolto, e il suo meraviglioso silenzio liberava ad una ad una le mie parole prigioniere. […] E io parlavo ancora… (M. Quoist, Parlami d’amore, Sei, Torino 1997, p. 26)
Perché quel giovane riesce a parlare? Le sue parole raccontano e sono lo specchio del cuore, del suo cuore. Ciò che cerca è prima di tutto di essere ascoltato e compreso nelle sue domande, in quello che ha proprio nel cuore. Anche un incontro come questo, tra un giovane e un saggio, fa pensare a cosa vuol dire vivere questo tempo – che è solo dono di Dio – che è la Quaresima. E la Parola di questa prima Domenica dà la strada.
La prima lettura, il libro del Deuteronomio. «Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione» (Dt 26,7).
E che cosa grida il Popolo d’Israele? Le umiliazioni, la miseria, l’oppressione. E questo “gridare” del Popolo può essere il modo attraverso il quale mi dispongo io ad iniziare questo cammino, questa lunga traversata della Quaresima. Un cammino che si apre non fatto di “propositi”, o peggio ancora di “buoni propositi”, e che poi, lo sappiamo, si perdono forse anche troppo presto; ma mettermi di fronte a me stesso e “gridare” a Dio le mie umiliazioni, le mie povertà, le mie oppressioni, perché forse la certezza che più desideriamo in questo momento è di sapere che Dio ci ascolti davvero. Ma chi mi assicura che Dio sa cosa ho nel cuore, e che ciò di cui realmente ho bisogno sia ascoltato e compreso proprio da Dio?
È la seconda lettura, san Paolo che scrive ai Romani. «Perché se con la tua bocca proclamerai: “Gesù è il Signore!”, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo» (Rm 10,9). Questa certezza – che è il cuore di tutta la nostra fede – che è la “pretesa” su cui si fonda la verità di Cristo, e della Chiesa, mi dà la certezza di non essere un illuso; la certezza della risurrezione di Cristo è la Verità che non delude e non illude. Scrive don J. Carron:
«Non c’è un altro sguardo vero su di noi, sulla realtà̀, sulle cose, sulle persone, sulla storia, dopo la risurrezione di Cristo come evento storico, se non quello che ha nella Sua presenza la luce per guardare tutto» (J. Carron, Una presenza nello sguardo, Rimini 2015).
Perché il dubbio che tutto questo sia vero è davvero la tentazione più grande, come ci ricorda padre Ermes Ronchi citando il teologo O. Clement:
«Le grandi tentazioni, quelle vere, non sono quelle di cui si preoccupa, o si ossessiona, un certo cristianesimo moralistico, non sono quelle che ci saremmo aspettati, ad esempio quelle che riguardano la sfera sessuale. Le grandi tentazioni sono quelle che vanno a demolire la fede» (E. Ronchi, La bellezza tua voglio cantare, Servitium, Milano 2006, p. 57).
E allora ecco dove ci conduce la Quaresima: le parole del Vangelo di questa domenica, il racconto delle tentazioni secondo l’evangelista Luca. È vero vogliamo certezze e sicurezze; faremmo volentieri a meno di 40 giorni “nel deserto”; e la tentazione, ogni giorno a portata di mano, è di vivere tutto subito e di capire subito tutto. Ma la domanda devo farmela: ma quanto sono disposto a fidarmi?
E qui sta la mia libertà: in questa Quaresima sono libero di scegliere – perché mai Dio, o chi parla in suo nome, non può imporre alcunchè – e questo cammino di 40 giorni dipende se lascio che la mia libertà sia “guidata” – «Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto» (Lc 4,1) – perché «credere significa attraversare fidandosi di Dio i diversi spazi della vita, anche i deserti, anche gli smarrimenti» (G. Osto, Servizio della Parola, 475, p. 79), oppure se assecondare tentazione di scegliere sempre la via più semplice, che sembra ti risparmi tutte le fatiche – e che in fondo è la soluzione che il diavolo offre anche a Gesù.
E allora dipende da cosa vogliamo davvero, quale strada percorrere, ciascuno di noi, nella propria Quaresima, perché alla fine quando tutto sarà finito, anche questa Quaresima, questa traversata nel “deserto” della nostra vita, anche noi – come scrive Luca nel Vangelo: «dopo aver esaurito ogni tentazione» (Lc 4,13) – alla fine ci sarò ancora io, ma, come Gesù, con la vita ritrovata e con la certezza di essere ascoltati da Dio, oppure, come il diavolo, essere sconfitti nel nostro orgoglio.
E desiderare magari di avere bisogno di un’altra Quaresima.
Ma per questo toccherebbe aspettare tanto, forse troppo.