Nelle esequie di don Attilio Minella

Concattedrale di Feltre
03-08-2020

Is 18,1-6; Sal 145; Mt 13,47-53
La mattina di giovedì 30 luglio «questa parola fu rivolta dal Signore al [suo servo Attilio]: “Àlzati e scendi nella bottega del vasaio; là ti farò udire la mia parola”».

Come il vasaio che lavora al tornio, il Signore ha raccolto nelle sue mani il vaso che da una vita – lungo 93 anni – stava modellando. In quel mattino si è compiuta l’opera. «La creta in mano al vasaio» è diventata un vaso nuovo «come ai suoi occhi pareva giusto».

Il presbitero Attilio ha attraversato, dimesso e inerme, questo compimento. Si è lasciato modellare, quando ormai tante cose, tante situazioni del passato e la sua stessa energia erano giunte a consumazione.

Quando ho potuto visitarlo per l’ultima volta, aveva un filo di voce con cui pronunciava parole di un’altra vita. Mi aveva ripetuto: «Confido nel Signore. Sono sereno».

È ancora il profeta Isaia a descriverci in immagine l’opera di Dio: «Ora, se si guastava il vaso che stava modellando […] egli riprovava di nuovo e ne faceva un altro».

Lungo una vita, quante volte il Signore può ricominciare con noi? Potremmo riferirci ad altre parole di Gesù e affermare: non sette volte, ma settanta volte sette.

Per questo in questa Liturgia di ringraziamento ci uniamo al nostro confratello, all’insegnante, al preside, al rettore don Attilio e con lui proclamiamo quanto ci ha suggerito il salmo 145: «Loda il Signore, anima mia: loderò il Signore finché ho vita, canterò inni al mio Dio finché esisto».

Come lode a Dio noi intendiamo riconoscere in particolare l’attività didattica di don Attilio, il suo insegnare. Il ministero stesso aveva assunto questa forma. Dalla scrivania dello studioso e dalla cattedra dell’insegnante don Attilio scrutava gli eventi della vita ecclesiale e della vita sociale e culturale, quelli in particolare della città di Feltre e della sua diocesi. Ne leggeva e interpretava le dinamiche, con atteggiamento assertivo e convinto. Ne divenne custode. Il suo interesse storico arricchì il patrimonio di conoscenza ecclesiale locale. Riteneva con ragione che la storia degli uomini e delle donne di ogni tempo comprende una filosofia, un pensiero, uno stile di cittadinanza, una scelta e una testimonianza di fede.

A conclusione del suo volume sul vescovo riformatore Giacomo Rovellio, don Attilio ha scelto un passo del profeta Isaia per compendiare il ministero esercitato da quel vescovo nella diocesi di Feltre. Possiamo azzardare che in quella citazione don Attilio abbia rappresentato il suo stesso sentire profondo, i suoi intenti, il suo insegnamento, il suo ministero, la sua indole: «Ecco, io ti ho posto sopra le genti, per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare».

La parola di Gesù che racconta la parabola della rete gettata in mare per iniziarci al “Regno dei cieli” è anche la parabola della vita di don Attilio. È rassicurante che sia Dio a prendere nelle sue mani la nostra vita, come «creta in mano al vasaio».

Don Attilio ha percorso una via di studio, di approfondimento, di comprensione non comune dei fatti della storia, degli eventi ecclesiali, dello sviluppo del pensiero filosofico, dell’esperienza  pedagogica, della comprensione razionale del mistero di Dio. Potremmo fare nostra la domanda di Gesù posta ai discepoli e potremmo rivolgerla a don Attilio, ora nel compimento della sua vicenda umana e nella sua disarmata dedizione al Signore che lo ha chiamato: «Hai compreso tutte queste cose?». Nel suo rimettere con confidenza la sua vita a Dio, «come argilla nelle mani del vasaio», noi riconosciamo i tratti originali del suo “sì” definitivo. E così nel cuore della nostra preghiera, in questa Eucaristia, noi poniamo la promessa di Gesù con cui egli ci avvicina, ci raccoglie e moltiplica il bene che è in noi: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

Eccoti, Signore, questo tuo scriba che ha estratto cose nuove e cose antiche dal tesoro che tu stesso hai nascosto nel campo della sua vita.