Nelle esequie di don Gabriele Bernardi

Santuario Santa Maria delle Grazie
02-06-2020

Cor 5,1-17; Sal 122 (121); Gv 20,11-23

Al tramonto del giorno in cui il Signore risorto ha voluto che nella nostra terra, in questa umanità che siamo – incerta, frastornata, fragile, mortale – avvenisse una fioritura di vita in pienezza, carica di eternità, compimento della promessa fedele di Dio, don Gabriele, dopo di avere festosamente celebrato questa Pentecoste, ha definitivamente cercato il volto di Gesù, il Risorto.

«Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, riempì tutta la casa» (At 2,2-3). Questo è avvenuto domenica sera nell’abitazione di d. Gabriele. Improvvisamente quella casa divenne la bramata “Gerusalemme celeste” a cui – da lungo, intenso, inafferrabile tirocinio – egli si era predisposto. Un alone di silenzio e di ordinarietà ha avvolto per una notte intera questo mistero di Pentecoste, fino all’inaspettata scoperta del mattino, mentre la comunità riprendeva la preghiera di adorazione.

Sollecitati dalla provocante predicazione di d. Gabriele, dall’irrompere della sua voce amica e alternativa, non esitiamo un attimo a riconoscere la lingua di fuoco dello Spirito posata su di lui, colmando la sua persona, la sua calda e fremente umanità.

L’apostolo Paolo, che abbiamo ascoltato nella prima lettura, sembra proprio don Gabriele, appassionato e impaziente annunciatore della novità assoluta che viene da Dio: «Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli. […] In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. E chi ci ha fatto proprio questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito».

Lo Spirito di Cristo risorto ha per davvero ghermito l’intelligenza, il cuore, i sentimenti, i sussulti, i gesti, le parole di d. Gabriele. Ovunque egli sia passato, ha donato le lingue di fuoco dello Spirito, ha contribuito ad aprire nuove manifestazioni della Pentecoste, ha portato consolazione a tanti cuori, additando quella pace che Gesù – la sera di quel primo giorno della settimana – ha donato ai discepoli rinchiusi per paura. Di quante paure si è preso cura don Gabriele, additando in un chiaro contrappunto il Cristo risorto!

Sono commoventi le parole giunte stamane dal vescovo Pierbattista Pizzaballa, a nome di tutta la Chiesa di Gerusalemme: «Don Gabriele per molti anni è stato un riferimento importante, non solo per i pellegrini che venivano da tutto il mondo, ma anche per molti religiosi e religiose, fedeli, cristiani e non, che trovavano in lui un riferimento spirituale importante. E so che ancora recentemente, nonostante la lontananza fisica, era vicino a tanti, chiamava continuamente e curava molte relazioni con la “sua” Gerusalemme».

Oltre alle sorelle, al fratello, a voi familiari – a cui va il nostro affetto e la nostra vicinanza di preghiera – tutti noi abbiamo da raccontare guarigione e cura ricevuti da don Gabriele con abbondanza di sapienza spirituale, introspezione acuta, a volte anche con energica contrapposizione verso le finzioni di bene che intravedeva.

Nella confidenza ascoltata dall’apostolo Paolo è riconoscibile la dedizione e la generosità di d. Gabriele: «Se infatti siamo stati fuori di senno, era per Dio; se siamo assennati, è per voi». Questo desiderio estremo e radicale di essere con Cristo e, nello stesso tempo, questa disponibilità a donare affabilità e sicurezza alle persone con i segni più concreti e più inaspettati, sono segno di un cuore grande. Ieri mi è stato ricordato dalla gente di Colle, di Selva, di Pescul la colomba pasquale donata alle famiglie e la rosa fatta avere alle donne.

Tutti siamo stati colpiti e ammirati della sua esperienza di Cristo, sempre tenuta viva nel suo ministero. Ci sembrano sue le parole di Maria di Magdala rivolte al presunto custode del giardino dov’era il sepolcro: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». È la fremente ricerca di tutti questi anni, ricerca di un ritorno a casa. Ecco che cosa scriveva due anni e mezzo fa, quando questo ritornare diventava vivo e incontenibile: «La Terra Santa mi resterà sempre una struggente nostalgia e forse è giusto che così sia, perché non perda dentro di me quel rispetto fatto di desiderio, di amore gratuito e libero» (al Custode della Terra Santa, 6-12-2017).

Venerdì scorso avevo chiesto a d. Gabriele di incontrarlo, anche per un consiglio che lui sempre sapeva dare. Solitamente lo faceva prima destrutturando le certezze su cui non confidare e, poi, riservando una sapienza del cuore che riempiva l’animo. Alla fine del nostro incontro preparò il caffè, lo versò. Notai che aveva riempito la mia tazzina mentre la sua era a metà. Ebbi la sensazione che lui, alla fine, ti riempiva dentro, mentre per sé riservava la misura più piccola. Grazie, don Gabriele!

Ora lascio la parola a lui. L’ha scritta, come testamento spirituale, il 10 agosto 2018:

«Ringrazio Dio del papà, della mamma e dei fratelli che mi ha dato. Lo ringrazio dei parrocchiani di Longarone, di Limana, di Arabba, di San Giovanni, di Ornella, di Cencenighe, di San Tomaso, di Anzù, di Sanzan e di quelli che mi sta per donare di Colle Santa Lucia e di Selva di Cadore. Ringrazio il Signore di avermi donato Gerusalemme, che è stata ed è la mia vita. Lo ringrazio dell’amicizia che mi ha concesso di ricevere e di donare. Il pensiero della morte, realtà meravigliosa dentro l’amicizia tra il Signore e me, mi ha sempre dato, e continua a darmi gioia, morte che ho sempre atteso intensamente dall’età di quattordici anni e che affido sorridendo alle mani della Vergine, mia madre del cielo, perché mi generi a quella vita che ho costantemente desiderato. Quanti mi vogliono bene non possono piangere la mia morte, ma devono condividere con me quelle gioie che il Signore mi permette di vivere in questo momento. Stiano certi che non dimentico in cielo quanti non ho dimenticato in terra. Ringrazio e porto con me quanti mi vogliono bene, un bene che ho sempre pensato di non meritare. Ringrazio il Signore di avermi donato la Chiesa, di avermi donato di servirla, di avermi insegnato ad amarla e a soffrire per Essa. Grazie, Signore, di tutto, della vita e della morte, delle gioie e del dolore, dell’amore e della solidarietà, della fede e della luce e delle tenebre della notte, delle preghiere, del perdono che mi hai donato e del bene che ti sei degnato di operare in me e attraverso di me. Grazie dell’umanità che mi hai fatto incontrare, soprattutto di tutti coloro che mi hanno aiutato a compiere il bene e ad avvicinarmi a te. Il mio spirito esulta! Beato chi abita la tua casa!».