Storia del Giubileo - 16

La colpa e la pena

Agostino: la colpa è offesa arrecata a Dio; la pena temporale è il disordine interiore provocato dal peccato

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Abbiamo visto che il primo nucleo embrionale delle indulgenze era lo sconto dato in maniera generalizzata (relaxationes: redenzioni) delle penitenze ecclesiastiche. Ma cosa ha portato al formarsi dell’indulgenza nel suo senso proprio, spirituale? Fu l’ulteriore evoluzione nella prassi penitenziale.

L’uso sempre più diffuso nel X secolo di ottenere la commutazione delle opere di penitenza, aveva fatto sì che l’espiazione venisse perdendo il suo ruolo di elemento più importante del sacramento della penitenza. L’importanza venne quindi progressivamente portata sull’altro elemento del sacramento: l’accusa dei peccati al confessore e questo elemento finì per essere considerato l’opera essenziale da parte del penitente.

Fu così che a cominciare dal XII secolo, la sequenza: confessione – penitenza assoluzione; venne rapidamente soppiantata da questa sequenza (quella che si pratica ancora oggi): confessione – assoluzione – penitenza. Questo mutare della prassi comportò una riflessione teologica, provocata da un interrogativo: ma se il perdono si riceve appena confessato il peccato, allora perché la penitenza dopo il perdono? Si attinse a sant’Agostino che nel peccato aveva distinto con nitida chiarezza due elementi: la colpa (offesa arrecata a Dio) e la pena temporale (disordine interiore provocato dal peccato, inclinazione al male). Dal momento che l’assoluzione avviene subito dopo l’accusa, allora essa cancella l’offesa a Dio, ma resta nella nostra coscienza la pena temporale, cioè la debolezza interiore causata dal peccato. La penitenza allora, mi si passi il paragone, è una ginnastica riabilitativa, una fisioterapia spirituale dell’anima, rimasta danneggiata dal male compiuto.

I teologi dell’epoca partirono dal principio, sempre condiviso, che ogni pena temporale contratta con il peccato, per essere espiata esige una soddisfazione proporzionata ed effettiva in opere di penitenza. Dal momento che l’autorità ecclesiastica con le “redenzioni” sconta le penitenze ai fedeli senza chiedere una sostituzione proporzionata, ciò significa che in esse oltre ad una remissione di penitenze ecclesiastiche, avviene anche una remissione della pena temporale che si contrae verso Dio. La Chiesa, comportandosi da madre, con condiscendenza, con indulgenza, non pretende che un peccatore compia tutta l’espiazione che deve e si accontenta di opere satisfattorie modeste, ma questo può avvenire in quanto vi è una supplenza che al peccatore viene da altri. E qui entra in gioco un altro concetto “la comunione dei santi”: quanti sono battezzati sono misticamente e realmente uniti (siamo i tralci della stessa vite, per usare le parole di Gesù). L’indulgenza è espressione di questa unione reale, vitale, che intercorre tra battezzati, tra santi e peccatori; l’indulgenza è un effetto della solidarietà che li unisce: i peccatori possono beneficiare del bene spirituale sovrabbondante di Cristo, della Madonna, dei santi. In forza di questa solidarietà le sovrabbondanti soddisfazioni di Cristo e dei santi hanno un valore di compensazione che rimpiazza la penitenza (ginnastica riabilitativa spirituale) che un peccatore dovrebbe altrimenti compiere per liberarsi dalle conseguenze spirituali del peccato.

Nel Duecento, l’indulgenza era ormai una grazia spirituale; non era più come le precedenti “redenzioni” una semplice remissioni di penitenze ecclesiastiche, ma remissione della pena temporale (disordine interiore), che richiederebbe l’esercizio di penitenze ecclesiastiche.

Come mai allora si contavano le indulgenze concesse ai fedeli in giorni, mesi, anni? Questo era per far capire ai fedeli che nell’indulgenza veniva concessa la remissione di una pena temporale, che, un tempo, veniva espiata con un mese o 40 giorni o 100 giorni di penitenza effettivamente svolta. Nel Duecento per la prima volta i papi concederanno l’indulgenza plenaria: la garanzia che quanti si erano confessati, cioè liberati dalla colpa del peccato, venivano completamente risanati anche dalle ferite lasciate dal peccato (la pena temporale). Una grazia spirituale tanto straordinaria che venne concessa due volte. Nella prima occasione essa era legata alla venerazione verso san Francesco; la seconda indulgenza plenaria si deve a Papa Celestino V. La sua iniziativa fu un preannuncio del giubileo che ebbe luogo nel 1300.

don Claudio Centa


Prete Ilario da Viterbo, Tavola d’altare, particolare, 1393, Assisi, Porziuncola. La scena raffigura l’annuncio dell’indulgenza plenaria, che, secondo la tradizione agiografica, Onorio III avrebbe concesso nel 1216, prima volta nella storia, su richiesta di san Francesco.