Giubileo degli ammalati - 4-6 aprile 2025

Dio non ci lascia soli nella malattia

Il Giubileo è aprirsi alla grazia divina, rafforzare la fede e impegnarsi per costruire un mondo più giusto e fraterno

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Sono 167 i pellegrini delle diocesi di Vittorio Veneto e di Belluno-Feltre, che si sono recati a Roma lo scorso fine settimana, in occasione del Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità, organizzato dall’Unitalsi di Vittorio Veneto, con la collaborazione dell’Ufficio della Pastorale per la Salute di Vittorio Veneto e accompagnati dal vescovo Renato e da parte dell’equipe dell’Ufficio diocesano di Pastorale della Salute. Presenti anche molte persone con disabilità, fra cui un nutrito gruppo de “La Nostra Famiglia” di Conegliano e della Fondazione “Piccolo Rifugio”.

«Partecipare a questo Giubileo – dicono i pellegrini – significa aprirsi alla grazia divina, rafforzare la fede e impegnarsi per costruire un mondo più giusto e fraterno, testimoniando l’amore di Dio attraverso gesti concreti di carità e solidarietà». «Partecipare – continuano Nello e Claudia di San Vendemiano, coniugi, genitori e da poco nonni di Stella – significa consolidare quella fede in cui crediamo, amarsi ogni giorno e cogliere la bellezza della vita, nonostante la malattia degenerativa da cui Claudia è affetta da anni».

«Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato – ha ricordato fin da subito ai fedeli il vescovo Renato nel santuario di Santa Maria delle Vertighe di Arezzo – A tutti capita di avere il cuore spezzato, per tante ragioni. La Porta Santa ci ricorda che l’incontro con Gesù è fondamentale per noi. Lasciamoci voler bene dal Signore e ricordiamoci anche dell’aiuto materno di Maria, Madre nostra e Madre della Speranza; sia di aiuto e incoraggiamento per coloro che soffrono in situazioni di malattia e di infermità, ma anche per tutti gli operatori sanitari che si prendono cura di loro, perché anche loro hanno bisogno di segni di speranza».

Il Giubileo è segno di riconciliazione, perché apre un tempo favorevole per la propria conversione. Il richiamo al ripristino della giustizia sociale e al rispetto per la Terra, nella Bibbia, nasce da una esigenza teologica: se Dio è il creatore dell’universo, gli si deve riconoscere priorità rispetto ad ogni realtà e rispetto agli interessi di parte.

Il pellegrinaggio è un viaggio compiuto per devozione, ricerca spirituale o penitenza, verso un luogo considerato sacro; riassume il senso stesso della vita terrena del cristiano. È durante il pellegrinaggio giubilare che la Chiesa offre ai fedeli la possibilità di ottenere l’indulgenza plenaria. La Porta Santa da varcare è la meta finale del pellegrinaggio. Ben tre sono state quelle attraversate durante questi giorni romani: in Vaticano, a San Paolo fuori le mura e a San Giovanni in Laterano.

«Il dissenso fra le persone, fra gruppi, nelle famiglie, divide proprio le persone, le famiglie, i popoli; questo deriva in primis da una frattura interna, e su questo ci poniamo delle domande. A chi è colpito dalla malattia, a chi subisce un grave incidente, a chi accompagna queste persone, il Pellegrinaggio giubilare possa aiutare a trovare un centro di unità e stabilità dentro di noi, che accogliamo nella fede. Domandiamoci: per che cosa dobbiamo veramente impegnarci per alleviare o non arrecare la sofferenza? La speranza stessa ci offre al futuro, agendo anticipandolo questo futuro. Affidandosi gli uni agli altri, aiutandosi gli uni con gli altri»: sono le parole del vescovo eletto di Vittorio Veneto, don Riccardo Battocchio, che ha condiviso parte di questo Pellegrinaggio giubilare.

Dall’omelia del 6 aprile di don Armando Bucciol, vescovo emerito di Livramento de Nossa Senhora (Brasile), originario della Diocesi di Vittorio Veneto, ricordiamo che «Ogni persona è molto più che il suo passato e i suoi errori. Impariamo dunque a migliorare noi stessi, seminatori di speranza e di relazioni solidali e fraterne». Don Armando ci ha accompagnato nell’ultima parte di questo pellegrinaggio.

La malattia quindi, è certamente una delle prove più difficili della vita, in cui tocchiamo quanto siamo fragili. Ma non siamo privi di speranza, perché non siamo soli: proprio laddove le nostre forze vengono meno, spesso anche nelle fatiche lavorative in cui operano con dedizione gli operatori sanitari, possiamo sperimentare la consolazione di Dio. La speranza, appunto, non delude.

Lisa Fossen