Patroni della diocesi

La festa dei santi Vittore e Corona

La devozione per questi santi patroni è stata trasmessa con il latte materno

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Il detto popolare «per conoscere una persona devi mangiare un quintale di sale insieme a lei» racconta una cosa molto vera, profonda e attuale che si può trasporre in tutti gli ambiti e in tutte le relazioni. Per dire di conoscere qualcuno dobbiamo passare tanto tempo con lui e avere la pazienza di saper attendere, non tutto si capisce subito.

Guardando al santuario del monte Miesna, c’è la percezione di qualcosa di simile, per molti di noi la devozione per questi santi patroni è stata trasmessa con il latte materno, per altri è stata la necessità di un aiuto o la ricerca di una grazia che ha portato a scoprire questo luogo di preghiera.

Lassù sembra più facile sentirsi a casa, sentire la vicinanza di chi da molto tempo porta aiuto, consola, cura, ama e guarisce le nostre ferite: i santi patroni che da quasi mille anni lì riposano hanno portato consolazione e sollievo a molti pellegrini, fedeli, semplici cittadini o nobili sovrani, sappiamo che quello è un luogo dove è più facile trovare aiuto indipendentemente dalla nostra storia personale e di fede.

Anche l’occhio vuole la sua parte e in questo caso riusciamo ad appagarlo diverse volte: si può vedere la facciata della basilica dalla strada statale, si vede dalla città di Feltre e allo stesso modo dal piazzale del santuario si volge lo sguardo verso la cittadina medievale, entrando nel chiostro, nella chiesa, negli ambienti dedicati all’accoglienza c’è la chiara e netta percezione di stare in un luogo bello – una delle frasi più ricorrenti dette il 14 maggio, festa patronale, da chi arriva per la prima volta pellegrino al santuario è senza dubbio “che bello!”.

Dentro il santuario e fuori, sulla strada principale o sul sentiero delle vaccherelle c’è la possibilità di toccare con mano la ricchezza di questo luogo che non lascia indifferenti. Insieme a tutto questo ci sono i ricordi personali, gli insegnamenti trasmessi da chi ci ha accompagnato davanti ai santi martiri, l’aver vissuto alcuni momenti di ritiro spirituale e di preghiera nella casa esercizi… cose magari difficili da comprendere o intuire se lette, ma molto concrete e plastiche una volta arrivati davanti al monumentale complesso medievale.

La devozione non si apprende dai libri, ma sulle ginocchia – possibilmente dei nonni – e tiene insieme diversi linguaggi, fa risaltare quello che nella vita parrocchiale a volte sfugge, traduce la fede attraverso segni visibili. È davvero il nostro santuario locale dove far riposare il cuore, dove è possibile incontrare il Signore risorto attraverso la vita e la testimonianza di questi giovani martiri cristiani Vittore e Corona. Come nei grandi santuari, anche qui si arriva pellegrini, con il cuore pesante e ferito oppure grato e riconoscente, ma ben sapendo che questa non è la meta, è una tappa del nostro percorso, una sosta per riposare prima di riprendere il cammino della quotidianità, immersi nella storia di ogni giorno.

È bello poter intrecciare la fede personale e quella comunitaria, i desideri del cuore e la bellezza estetica, la ricerca profonda e la semplicità di un luogo santo; dentro queste sfumature cresce la nostra fede, ci sentiamo figli amati, scopriamo la ricchezza di credere insieme.

«Santi Vittore e Corona, pregate per noi».

don Andrea Canal

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Il servizio di Telebelluno