Come furono vissuti gli anni santi nelle nostre Chiese locali nei secoli passati? quale eco ebbero da noi questi appuntamenti straordinari? Mendicando tra le carte d’archivio qualche spiraglio di luce si può trovare, come questo che vi propongo per l’anno santo del 1600.
Il giubileo di quell’anno secolare venne indetto Papa Clemente VIII con la bolla Annus Domini placabilis del 19 maggio 1599. L’apertura era fissata, come di consueto, alla notte di Natale. Con un successivo breve apostolico del 30 ottobre, il Papa raccomandava ai vescovi di preparare i fedeli alla celebrazione dell’anno santo. Ciò che il vescovo di Feltre, Giacomo Rovellio, non mancò di fare.
Il primo giorno dell’anno 1600, Rovellio assistette alla solenne Messa celebrata in cattedrale, in quella che all’epoca era la festa della circoncisione di Gesù. Durante la celebrazione fece pubblicare la bolla papale di indizione. Quindi il benedettino fiesolano Innocenzo de Sottis, un toscano di Pescia, monaco nel monastero del santuario dei santi Vittore e Corona, svolse una predica nella quale illustrò ai fedeli il significato del giubileo e dell’indulgenza plenaria. Seguendo le raccomandazioni date dal Papa nella bolla, il monaco esortò i fedeli a “intraprendere di buon animo il pellegrinaggio nell’Urbe, al fine conseguire il giubileo”, a visitare le basiliche romane e fruire così delle grazie spirituali concesse. Nei giorni seguenti la notizia dell’apertura dell’anno santo e delle connesse grazie spirituali venne diramata nelle parrocchie della diocesi.
Nel breve del 30 ottobre, il Papa aveva invitato anche i vescovi a recarsi a Roma, in modo di incitare con l’esempio i fedeli ad affrontare il pellegrinaggio verso l’Urbe. Rovellio, che non si risparmiava nelle fatiche pastorali e si spendeva in un’attività tanto intensa da estenuare talora la sua gracile costituzione, non affrontò il pellegrinaggio a Roma. Nel pieno della primavera le sue incerte condizioni di salute lo costrinsero ad una convalescenza per tutto il mese di maggio in seno alla sua famiglia, a Salò. Nemmeno in autunno se la sentì di mettersi in strada per Roma, ove doveva recarsi per la periodica relazione sullo stato della diocesi e vi inviò un suo rappresentante.
Non è dato sapere quanti furono i fedeli che accolsero l’invito di farsi pellegrini. Quanto ai preti lo possiamo conoscere con certezza, dal momento che per assentarsi dai loro incarichi per un tempo notevole, avevano bisogno di chiedere e ottenere il permesso vescovile.
Il primo a mettersi in cammino, era la fine di marzo, fu Morando Dalle Mule. Nativo della Pieve di Tesino, era sacerdote da nove anni e quindi poco più che trentenne. Dal tempo della sua ordinazione esercitava il ministero nella sua parrocchia di origine quale rettore della bella chiesa dei santi Fabiano e Sebastiano.
Un mese dopo fu la volta di Silvestro De Bernardi. Il 22 aprile ottenne dalla curia di assentarsi dalla pieve di Pergine, che serviva come primissario, vale a dire incaricato della celebrazione della prima Messa quotidiana. A Pergine prè Silvestro vi era nato nel 1564 e colà era rimasto dopo l’ordinazione sacerdotale.
Trascorsa l’estate e col sopraggiungere del mese di settembre fu il quarantottenne feltrino Vittore Murano che partì in pellegrinaggio per Roma. Questo feltrino della contrada di Nassa, appena ad oriente della cattedrale, ad eccezione di tre anni trascorsi a Venezia per perfezionare i suoi studi di umanità e di musica, aveva trascorso tutta la sua vita all’ombra della principale chiesa cittadina, che serviva da 23 anni quale mansionario.
L’anno santo volgeva verso il suo termine quando altri due sacerdoti, intrinseci col vescovo partirono per Roma: Delio Vezio e Agostino Ambrosino. Il primo era un umbro di Amelia, che nel 1594 era stato chiamato a Feltre dallo zio Giovanni. L’anno seguente egli subentrò allo zio nella carica di cancelliere vescovile e all’inizio del 1599 in quella di pievano di Cesio. Il secondo era nipote del vescovo; nato a Salò il 15 agosto 1565, accompagnò lo zio a Feltre nella sua presa di possesso nel 1584. Quel diciannovenne forse non aveva immaginato che a Feltre si sarebbe svolto tutto il resto della sua vita. Dottore in utroque iure, canonico della cattedrale, fino all’anno precedente era stato anche vicario generale. È all’inizio di novembre che Delio Vezio viene creato procuratore del vescovo per andare a Roma, mentre Agostino Ambrosino chiede il permesso di mettersi in viaggio alla fine del mese. È da presumere che i due giovani preti abbiano affrontato il viaggio insieme. Quasi coetanei (Ambrosino contava 35 anni e 28 ne aveva Vezio), nei cinque anni precedenti eran vissuti insieme, nel palazzo vescovile; avevano lavorato gomito a gomito: Ambrosino vicario generale e Vezio cancelliere. La giovane età e la comunanza di vita senz’altro deve averli resi sodali.
Quanto tempo avranno impiegato per il loro viaggio questi cinque sacerdoti? Avendo la fortuna di servirsi di un cavallo occorreva comunque una settimana per l’andata e un’altra per il ritorno. Quali incontri avran avuto la ventura di fare lungo la strada? Quali le sensazioni alla vista di paesaggi, non certo nuovi per l’umbro Vezio, ma inediti agli altri? Quali le impressioni all’incontro con la città eterna e nella visita alle basiliche? Quanto la storia riesce a dire è veramente poca cosa rispetto alla debordante ricchezza delle esperienze umane vissute da chi ci ha preceduto!
don Claudio Centa
Nell’immagine: Willem Van Nieulandt, Veduta di Piazza del Popolo, c. 1615. Questo era il primo impatto per chi nel 1600 giungeva a Roma dal nord, come i cinque sacerdoti protagonisti delle vicende scoperte dallo storico don Claudio Centa.