Per la giornata di Avvenire del 31 gennaio

Il valore della cura

«La vita fragile insegna ai giovani il valore della cura»

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Leggo da un’intervista a chi è responsabile della prevenzione dell’Ulss 1 Dolomiti che «nel clou della pandemia, tra novembre e dicembre, vi sono stati nel bellunese oltre duecento nuovi casi di contagio al giorno». È stata una stagione di grande prova per il territorio della provincia di Belluno. Molti dei nostri anziani se ne sono andati e ci hanno lasciato. Il protocollo del loro estremo passaggio ha richiesto una sofferenza in più e una grave perdita a livello di “riserva affettiva” e di “fonte culturale” nelle famiglie e nelle comunità. Mentre avveniva questo non si parlava di altro. Poi è subentrato il linguaggio che ci ha identificati con il colore “rosso” o, addirittura, con le pennellate “nere”. Basta un minimo di fantasia per immaginare cosa sia successo in un territorio con una forte vocazione turistica.

La troppa pioggia in alcune giornate, l’esuberate duplice nevicata a cui hanno dato seguito frane e slavine, interrompendo alcune vie di comunicazione e isolando piccole comunità di montagna, hanno confermato ed esasperato ciò che da sempre impegna tantissimo e con passione la gente di montagna: la cura del territorio. Mai come in questo tempo si è percepito il medesimo destino. Sulla barca dove ci siamo ritrovati tutti, vi sono anche le montagne, i boschi, i torrenti, le strade, le case, le piazze… L’immane nevicata avvenuta ha mostrato che un unico manto ci avvolge e può sovrastare la quotidianità. Ma la nostra Chiesa di Belluno-Feltre come ha potuto attraversare questa burrasca di virus e di neve, di mille sospensioni e altrettante chiusure, di ancestrali paure da epidemia e di nuovi timori da vaccinazione disattesa?

La nostra Chiesa si è inoltrata nel buio della tempesta e non ha smesso di traspirare fede, di anelare speranza, di lasciare per strada briciole di carità. Come i vasi capillari nell’organismo umano, le nostre comunità ecclesiali, assottigliate fino a confondersi con i tessuti irrorati, hanno condiviso le loro risorse di ossigeno spirituale e di nutrimento sacramentale. Dopo le reazioni arrabbiate e risentite di alcune frange, durante il lockdown della scorsa primavera, si è percepito, in quest’ultima stagione, un fluire di attesa, di pazienza, di preghiera, di ascolto, di celebrazione, di speranza, di vicinanza alle persone. Paradossalmente proprio le esequie sono diventate un appuntamento consueto in cui guardare stupiti al dono e alla responsabilità della vita, dove porre il seme di un affettuoso arrivederci, dove ricomprendere gli argini in cui scorrono le energie vitali, dove aprire varchi di reciproca sollecitudine, dove ritrovare la purezza di una spiritualità liberata, dove mendicare in sincera intercessione una consolante fraternità.

Qualcuno ha rilevato che un canale inter-generazionale così si è aperto: la vita ha lasciato le sue accertate presunzioni, si è fatta più delicata, più bisognosa di tenerezza, più accondiscendente al reciproco “farsene carico”, a tutte le età. Sì, saranno forse i ragazzi di oggi e i giovani di questo tempo, non solo per le loro abilità nel web e con i social, ma in forza delle loro fatiche e paure di oggi, a veicolare domani un insegnamento nuovo – più umano e più “evangelico” – nell’arte di vivere in questo mondo.

+ Renato, vescovo