Il valore del brevissimo pontificato di Papa Giovanni Paolo I (26 agosto-28 settembre 1978) – come disse il suo successore Giovanni Paolo II – fu «inversamente proporzionale alla sua durata». Questo perché in poco più di un mese, esso diede un apporto significativo non solo alla Vita della Chiesa , ma anche a varie relazioni internazionali, tra cui quelle con il Medio Oriente. Significativamente, alla Messa inaugurale del 3 settembre 1978 erano presenti tra le delegazioni ufficiali, il vice presidente degli Stati Uniti Walter Mondale, il ministro della cultura e dell’informazione dell’Egitto Abdel Monein el Sawi, l’ambasciatore di Israele Zeev y Shek e il presidente della Repubblica del Libano Elias Sarkis.
Il giorno seguente, accogliendo le delegazioni ufficiali, il Papa ebbe un colloquio personale con Mondale e con Sarkis. In questa occasione dimostrò tutto il suo interesse per la crisi medio-orientale e per gli allora imminenti accordi di Camp David, che porteranno al trattato di pace israelo-egiziano del 26 marzo 1979. Il tema fu da lui ripreso alla fine della prima udienza del mercoledì, il 6 settembre, con queste parole: «…Questo conflitto, che da più di trent’anni si combatte sulla terra di Gesù, ha già causato tante vittime, tante sofferenze, sia fra gli Arabi, sia fra gli Israeliani, e come una brutta malattia ha contagiato i Paesi vicini. Pensate al Libano, un Libano martire, sconvolto dalle ripercussioni di questa crisi. Per questo, quindi, vorrei pregare, insieme, per la riuscita della riunione di Camp David: che queste conversazioni spianino la via ad una pace giusta e completa. Giusta, cioè con soddisfazione di tutte le parti in conflitto. Completa, senza lasciar irrisolta alcuna questione: il problema dei Palestinesi, la sicurezza di Israele, la città Santa di Gerusalemme. Chiediamo al Signore, dopo, pregando, di illuminare i responsabili di tutti i popoli interessati, perché siano lungimiranti e coraggiosi nel prendere le decisioni che devono portare la serenità e la pace in Terra Santa ed in tutto il mondo».
Il Pontefice riprese ancora l’argomento all’Angelus di domenica 10 settembre: «…può forse una mamma dimenticare il proprio bambino? Ma anche se succedesse, mai Dio dimenticherà il suo popolo… Con questi sentimenti vi invito a pregare insieme al Papa per ciascuno di noi, per il Medio Oriente, per l’Iran, per tutto il mondo».
Il successivo 17 settembre, al termine della firma degli accordi di Camp David, fu lo stesso presidente Carter a scrivere al Papa, informandolo dei risultati ottenuti dai colloqui. A tale missiva il Pontefice rispose quattro giorni più tardi, dichiarandosi a completa disposizione insieme alla Santa Sede per lavorare per la Pace. Anche durante la terza udienza di mercoledì 20 settembre, riflettendo sul tema della Speranza aveva infine affermato: «[In] questi momenti ci viene un esempio da Camp David. Ieri l’altro [forse intendeva il 17 settembre, n.d.r.], il Congresso americano è scoppiato in un applauso che abbiamo sentito anche noi quando Carter ha citato le parole di Gesù «Beati i facitori di pace». Io mi auguro che quell’applauso e quelle parole entrino nel cuore di tutti i cristiani, specialmente di noi cattolici: ci rendano veramente operatori e facitori di pace».
Al suo ultimo Angelus, il 24 settembre, il Papa concluse dicendo: «Ecco la parola giusta, non la violenza può tutto, ma l’amore può tutto. Domandiamo al Signore la grazia che una nuova ondata di amore pervada questo povero mondo».
Dopo la sua morte, avvenuta la sera del 28 settembre, il patriarca Antoine Khoraiche di Antiochia dei Maroniti disse a Radio Vaticana: «[Il Papa]…pensava di fare una visita speciale al Libano per adoperarsi personalmente al ristabilimento della pace tra i figli di quella nazione. Egli ci aveva anche benevolmente promesso di riceverci una seconda volta, prima del nostro ritorno al Libano, in udienza privata, in cui avremmo trattato con Sua Santità l’argomento di tale visita».Quasi a coronare e a ringraziare per questi sforzi, ai funerali di Giovanni Paolo I, il 4 ottobre 1978, erano presenti, tra le delegazioni, la madre del Presidente degli Stati Uniti, Madame Lilian Carter, l’incaricato per gli affari dell’Ambasciata di Israele presso il governo italiano, Yair Algom, il ministro di stato dell’Egitto Ali El Salmy e l’ambasciatore del Libano presso la Santa Sede, Antoine Fattal.
Loris Serafini