Storia del Giubileo - 34

La Chiesa entrava nel terzo milennio

La preparazione del grande Giubileo del 2000 con la guida di papa Giovanni Paolo II

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Nessun Anno Santo è stato annunciato con un ampio anticipo come quello del 2000: già nel 1994 papa Giovanni Paolo II promulgava il primo documento ufficiale per avviarne la preparazione. Eppure, si può dire che a questo appuntamento Papa Wojtyła si andava preparando fin dall’inizio del suo pontificato. Il giorno della sua intronizzazione il cardinale Stephan Wyszynski, primate polacco, gli disse: «Tu sarai il Papa che porterà la Chiesa nel terzo milennio». I riferimenti all’approssimarsi del nuovo millennio sono presenti già nei primissimi atti di magistero del Papa: nell’omelia in occasione del suo primo viaggio, effettuato appena venti giorni dopo la sua elezione e avente come meta Assisi e così pure nella sua prima enciclica, la Redemptor hominis, testo di valore programmatico per il suo pontificato.

Ma quale doveva essere non solamente lo spirito in cui celebrare il giubileo, ma molto di più l’approccio al Duemila, in altri termini alla società umana, da parte della Chiesa? L’alternativa era tra un giubileo trionfalistico, animato dall’aspirazione di rievocare una società ufficialmente cristiana e tra un giubileo svolto con animo penitente, come confessione di umile bisogno di conversione e al contempo di testimonianza di una fede divenuta fenomeno di minoranza. Le menti più lucide del collegio cardinalizio, con sano realismo, riconoscevano che la seconda era la strada da percorrere.

L’annuncio, e al contempo l’avvio dei lavori, avviene il 13 giugno 1994, quando nel quinto Concistoro Straordinario, il Papa consegna ai cardinali un Promemoria nel quale sono indicate le linee principali per preparare la Chiesa al giubileo. Quella alla quale il Papa accordava il posto centrale era la fedele attuazione dei testi del Concilio Vaticano II. Quella che, nei giorni seguenti, accese la discussione più animata tra i porporati fu la necessità per la Chiesa di riconsiderare il proprio passato, fuori da ogni prospettiva apologetica, affiche essa «riveda di propria iniziativa gli aspetti oscuri della sua storia valutandoli alla luce dei principi del Vangelo».

A cinque mesi di distanza, 10 novembre, Giovanni Paolo II promulgava la lettera apostolica Tertio milennio adveniente, nella quale egli illustrava il suo modo di considerare il prossimo giubileo. Un notevole spazio è dato alla tradizione dei giubilei nell’Antico Testamento; con ricchezza di riferimenti biblici sono esposti gli aspetti economici e sociali dell’istituto del giubileo biblico, radice di quello cristiano: liberazione degli schiavi, condono dei debiti, riposo della terra. Tutto questo ha il suo compimento in Gesù, che applicando a sé l’annuncio del giubileo in Isaia (6, 1-2) inaugura nella sua persona il permanente giubileo dell’umanità. Da queste considerazioni derivano alcune linee programmatiche: è ribadita «l’opzione preferenziale della Chiesa per i poveri e gli emarginati, il suo impegno per la giustizia e per la pace»; viene sottolineato il ruolo delle Chiese locali ed è progettata la celebrazione di sinodi continentali in preparazione del giubileo; è raccomandato di impegnarsi nella memoria del martiri del Novecento: come la Chiesa del primo millennio è nata dal sangue dei martiri dei primi secoli, così la Chiesa del terzo millennio deve fare memoria, con spirito ecumenico, dei martiri del XX secolo. Ma soprattutto il documento insisteva, nella sua parte centrale, sul riconoscimento degli errori del passato: “la Chiesa non può varcare la soglia del nuovo millennio senza spingere i suoi figli a purificarsi, nel pentimento, da errori, infedeltà, incoerenze, ritardi. Riconoscere i cedimenti di ieri è atto di coraggio e di lealtà che ci aiuta a rafforzare la nostra fede».

Il documento non era solo un programma per il giubileo, era di più: era un programma per la Chiesa, il suo essere testimone umile e credibile della fede nella società contemporanea. Il Papa mise a capo del Comitato centrale del Grande Giubileo il cardinale Roger Etchegaray, coadiuvato prima dall’arcivescovo Sergio Sebastiani e poi dall’arcivescovo Crescenzio Sepe.

I preparativi, in rapida sintesi, si muovono su più binari. La purificazione della memoria: la piena riabilitazione di Galilei, l’avvio della riabilitazione di Girolamo Savonarola, nel 1998 il documento sull’Olocausto Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah, e, sempre in quell’anno, il “Simposio sull’Inquisizione” preparato da una commissione storico-teologica presieduta dal domenicano Georges Cottier. L’annuncio della fede con un triennio dedicato di anno in anno alla meditazione e ricoperta delle persone della Trinità: nel 1997 il Figlio, nel 1998 lo Spirito Santo e nel 1999 il Padre. Sul versante ecumenico l’enciclica Ut unum sint (1995), nella quale Giovanni Paolo II chiede agli studiosi di distinguere tra l’essenza teologica del Primato papale e le forme storiche contingenti assunte da esso, alle quali si dice pronto a rinunciare.

Nello stesso tempo il Comitato centrale lavorava a preparare gli eventi celebrativi (ne furono fissati 139 tra l’apertura del 24 dicembre 1999 e la chiusura del 6 gennaio 2001) e l’accoglienza. A questo ultimo proposito il governo italiano, presieduto da Romano Prodi, in una stima ufficiosa del 1996 prevedeva per il 2000 l’arrivo a Roma di venti milioni di pellegrini e con la legge 651 stanziava 3.500 miliardi di lire per Roma e altri 2.000 per il Lazio.

Il 29 novembre 1998, prima domenica di Avvento, Giovanni Paolo II promulgava la bolla di indizione del giubileo, Incarnationis mysterium: esponendo il contenuto teologico del giubileo, il testo insiste, come mai in nessun’altra bolla giubilare, sull’origine ebraica di questa celebrazione.

don Claudio Centa