Andate nel panificio del paese e ordinate un filone di pane dorato, profumato, invitante: probabilmente, non vi passa nemmeno per la testa che il panettiere possa averlo avvelenato. Salite sul pullman che vi deve portare al lavoro, a scuola, in gita: non ci pensate neppure, ma date per scontato che l’autista vi porterà sani e salvi alla vostra meta e che sicuramente il guidatore non intende farvi del male, rapirvi o fare un incidente. Potremmo andare avanti a lungo: abbiamo bisogno di fiducia.
Ogni giorno la esercitiamo, senza nemmeno accorgerci, senza pensarci, senza stare lì a fare chissà che valutazioni. Ci fidiamo degli altri, semplicemente perché sennò…non viviamo! Possono sembrarci dure le parole di Geremia, che definisce “maledetto” l’uomo che confida nell’uomo; possono metterci a disagio i “guai” che Gesù ha pronunciato dopo le Beatitudini nel Vangelo di Luca. Ma queste espressioni ruvide ci mettono semplicemente di fronte al fatto che chi non si fida di Dio… non vive bene.
Non è una condanna da parte di Dio, ma la logica conseguenza della necessità di cercare di fondare la nostra vita su un solido fondamento, che né il denaro, né il cibo, né le circostanze felici della nostra vita, né la celebrità e la fama possono garantirci. L’uomo beato – afferma Geremia, ricorrendo ad una metafora che assume il suo pieno significato se pensiamo all’ambiente arido e semi-desertico della Palestina – è come un albero piantato lungo un corso d’acqua, che fiorisce, che non secca, che produce frutto.
L’uomo beato, afferma Gesù, è colui che affronta ogni giorno – anche le avversità e le fatiche della vita quotidiana – confidando nella presenza, nella bontà, nella fedeltà di un Dio che si fa vicino, che ode la fatica e il grido del suo popolo, che scende a salvarlo. L’uomo beato sa che la cosa più terribile che ci può capitare – la morte – non è più un buco nero in cui spariamo con tutta la nostra storia, i nostri affetti e la nostra identità, perché – ricorda San Paolo, in polemica con la comunità di Corinto che, come noi, su questo punto faceva un po’ di fatica – «Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti».
La nostra fede – afferma Paolo – si misura sul banco di prova della vita di tutti i giorni, con i suoi alti e bassi, con il suo entusiasmo e la sua fatica, con il suo dolore e la sua gioia: la nostra fede illumina tutto, ci rende beati. Non perché ingenui, non perché senza problemi, non perché assicurati contro tutto. Ma perché accompagnati. Perché amati. Perché tenuti per mano da Dio, lungo tutte le nostre strade, anche le più impervie.
Viviamo in un’ora della storia, in cui la fiducia sembra non avere buona fama: meglio sospettare, meglio combattere, meglio vedere nell’altro o nell’altra un potenziale nemico. Meglio costruire muri, allontanare, difendere confini, sentirsi al sicuro, inesorabilmente da soli. Talmente premuniti che – come la terra di salsedine – bruciamo qualsiasi forma di vita prima ancora che germogli. Disseccati. Maledetti, direbbe Geremia, non per colpa di Dio, ma per scelta nostra.
Purtroppo, a volte, vale anche per le nostre comunità cristiane. Solo la relazione con gli altri e con l’Altro, che si costruisce sulla fiducia e di essa si nutre, può renderci beati, contenti. Felici. Fidiamoci ancora del prossimo, attraverso cui Dio si fa presente, si fa vicino, forse anche ci ammonisce e ci corregge! Fidiamoci ancora di Dio: è Lui il nostro panettiere, che ci dà un cibo buono, vigoroso, capace di farci camminare lieti e spediti. È Lui l’acqua buona che fa fiorire il nostro giardino, la nostra umanità, le nostre comunità. È Lui l’autista della storia, che ci porta sicuri, zigzagando per le mille vicende che possiamo vivere, nel Suo amore, nella Sua vita, nella comunione piena con Lui.