Domenica 26 gennaio al Giovanni XXIII

Accoglienza, integrazione, dignità umana

Incontro ecumenico con una valdese, un ebreo e una suora clarissa

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Domenica pomeriggio di gennaio, a Belluno, 8 gradi sopra lo zero. Questa sarebbe già una notizia… e lo ha notato Erica Sfredda, predicatrice valdese, invitata in città domenica 26 gennaio dal Segretariato attività ecumeniche «Monsignor Emilio Zanetti» per una tavola rotonda sul tema ». Sfredda di Belluno se ne intende, «è la terra dei miei suoceri», dice. E nella sua relazione non parla, magari in ossequio al mainstream mediatico, di cambiamento del clima, ma con piglio, appunto, da predicatrice sostiene che gli 8 gradi di gennaio ai piedi delle Dolomiti e i 68 milioni di persone che attraversano mari, muri e frontiere, cifra raddoppiata negli ultimi 20 anni, sono fenomeni che risalgono alla stessa radice: «Non sappiamo più accogliere non dico il diverso, ma nemmeno il simile. Nemmeno le grida di Sos per il nostro pianeta sappiamo ascoltare e lasciamo che altri le dicano, passivi, come se non ci fosse un futuro».

Accanto a lei, sul tavolo della sala Muccin al Centro Giovanni XXIII, c’è lo psichiatra Sandro Ventura, ebreo, che ha parlato della dignità umana; la Sfredda ne invade un po’ il campo quando parla di «schizofrenia» occidentale: «Viviamo come se la morte non esistesse e come se la fine non ci fosse. C’è rimozione più che consapevolezza». E ancora: «il cobalto viene estratto in Africa dalle mani delicate dei bambini tra le sostanze corrosive, ma questo non ci impedisce di comprare il cellulare, o meglio l’ultimo cellulare: la nostra vita occidentale si basa sul fatto che qualcun altro vive male, se vive». Tutto ciò, per la Sfredda, è conseguenza della «rottura dell’equilibrio tra quello che sentiamo in chiesa la domenica e quello che facciamo il lunedì». Nella sala risuonano le parole bibliche del Levitico, «il forestiero dimorante tra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi», e quelle evangeliche del giudizio universale: «Non è Erica Sfredda che lo dice: prendersi cura della creazione e delle persone fisiche che ne fanno parte, è il Signore che lo dice». La Sfredda non solo annuncia, ma testimonia: «a Verona, metodisti ghanesi e italiani fanno parte della stessa comunità cristiana: è difficile, ma si può fare. Si comincia dalla cucina e si prosegue con i vestiti: io ho l’armadio pieno di abiti africani; poi si passa a parlare del fumare e del bere, vizi che i ghanesi non hanno, e poi si parla del Signore».

Prende la parola suor Stefania Monti, clarissa cappuccina del monastero di Fiera di Primiero, un percorso di studi semitistici alle spalle. Per parlare di integrazione sceglie due racconti biblici, quello del patriarca Giuseppe e quello del profeta Daniele. Giuseppe, «figlio di papà che fa la cosa più noiosa del mondo, quella di raccontare i propri sogni», «ragiona con un pensiero che è la chiave dell’integrazione, ovvero: se sta bene l’Egitto (la terra dove Giuseppe viene venduto dai suoi fratelli, ndr), sto bene anch’io. Oggi invece i confini stanno diventando sempre più rigidi». La Bibbia propone sia la storia di Giuseppe sia la storia di Daniele, che invece non ha molta simpatia per l’integrazione con la corte del Gran Re dove si trova a soggiornare. In ogni caso, ammette suor Monti, «non è il mio lavoro trovare risposte all’integrazione: sono percorsi lunghissimi». La storia di Giuseppe insegna che «l’integrazione passa prima attraverso il cibo e subito dopo dal saper parlare una lingua». Al momento, «l’integrazione è lontana e non scontata: dobbiamo impegnarci tutte le nostre forze, soprattutto le migliori, nella fiducia di vedere i frutti alla seconda e alla terza generazione di ragazzi immigrati».

L’incontro al Giovanni XXIII, moderato da Gregorio Piaia, si era aperto con la telefonata, in diretta, del presidente nazionale del Sae Piero Stefani, e il suo plauso a un’iniziativa «che si svolge in tempi non felici per la comunicazione tra le persone e per il perpetuarsi degli atti antisemiti». Soddisfazione da parte del Sae di Belluno, presieduto da Tatiana Prinzivalli, per una sala piena e, non ultimo, per l’eccellente violino di Myriam Dal Don, cui sono stati affidati gli intermezzi musicali. [GB]