VENEZUELA – Il bellunese padre Sante Ronchi ha inviato all’Ufficio Missionario le novità sulla crisi

Al momento c’è una speranza, che non ci aspettavamo un mese fa!

«Anche nei paesi in guerra la gente in qualche modo tira avanti, sperando tempi migliori…»

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

La situazione in Venezuela
Attualmente la situazione in Venezuela è drammatica. Padre Sante Ronchi, nostro missionario originario di Vallada Agordina, che opera proprio in quel Paese Sudamericano, qualche giorno fa – il 30 gennaio – ha scritto al nostro Ufficio Missionario: «Tra poco esco per la seconda manifestazione. La prima fu veramente massiva, in tutto il paese. Suppongo che quella di oggi sarà in tono minore. Maduro cerca di guadagnare tempo, come sempre ha fatto, dicendo di essere disposto a dialogare. Non credo che Guaidó (o gli USA) si lasceranno ingannare. Se lo capisco io, maggiormente lo comprenderanno loro. Perlomeno al momento c’è una speranza, cosa che non ci aspettavamo solo un mese fa. Solo che non ci sia bisogno di pagare un prezzo troppo alto! Alla nostra marcia del 23 qui in città ci sono stati 2 morti, assassinati dai paramilitari che il regime usa per spaventare la gente, 35 in tutto il paese, circa 800 arrestati, compresi minori di 12 anni (e le famiglie minacciate che, se denunciano il fatto o si lamentano, l’arrestato ne pagherà il prezzo – e sappiamo come nelle carceri siano rispettati i diritti umani!). Intanto l’inflazione va avanti peggio di sempre: abbiamo 20 chili di banconote che han passato in poco tempo a non valer niente e che dovremo bruciare. Così va la vita. Salutatemi la gente di là…»

L’esperienza missionaria di padre Sante
Padre Sante è un Missionario Oblato di Maria Immacolata. Nato a Vallada Agordina nel 1954, ha svolto la sua opera missionaria anzitutto in Italia tra Roma, Messina e Firenze, dove ha svolto diverse attività con tossicodipendenti e carcerati e si è impegnato nella formazione di gruppi giovanili. Dal 2006 al 2014 è stato missionario in Romania, prima di approdare in Venezuela, un paese oggi definito “al collasso” o “sull’orlo dell’esplosione sociale“.

Già qualche mese fa, il missionario agordino dichiarava: «In Venezuela vi sono 25.000 morti ammazzati all’anno. E sono anni che è così. Alla gente mancano soprattutto i medicinali e l’alimentazione. Come libertà, molti vanno in carcere come prigionieri politici senza prove, senza accuse a volte. L’opposizione, con la pressione della strada, cerca di cambiare qualcosa, ma il governo reprime e va avanti come sempre. Almeno l’ottanta per cento della popolazione è contro il governo…»

Lo scorso mese di novembre padre Sante ci scriveva:  «Qui va sempre peggio, da un’emergenza all’altra. Ora quella più attiva nella nostra zona (ogni zona ha difficoltà specifiche sue, dove può essere la mancanza di energia elettrica, o la presenza di gruppi paramilitari che angariano la gente, o l’acqua potabile, o il trasporto pubblico che non ha ricambi per i mezzi e dappertutto la carenza di medicine e viveri…), qui, dicevo, mancano ora soprattutto il gas e la benzina. Noi che stiamo un po’ in periferia possiamo anche arrangiarci con la legna, ma in città no. Per cui la gente blocca le strade con le bombole vuote. E per la benzina si fanno code di ore, quando si ha fortuna, o anche di giorni. La gente non era abituata all’emigrazione, per cui alle famiglie pesano molto le separazioni. Anche alle nostre parrocchie pesano le assenze di catechisti e animatori emigrati…»

A proposito dell’emigrazione, precisava il nostro missionario. «Per molto tempo il Venezuela è stato terra di immigrazione. Anche dall’Italia, specie nel dopoguerra, non sono pochi a essere venuti qui. In questi 2 anni un decimo della popolazione ha emigrato. La gente non era abituata alla lontananza di familiari e amici e reagisce male, a livello psicologico. Ma le rimesse dall’estero sono una delle poche cose che permettono di andare avanti a chi rimane…»

Le dichiarazioni dei vescovi
A confermare la situazione drammatica sono intervenuti anche i vescovi venezuelani dichiarando: «Sotto il regime del presidente Nicolás Maduro, il Venezuela è un campo di concentramento dove gli stessi venezuelani vengono sterminati». E ancora: «Di fronte a questa realtà che abbiamo descritto come una tragedia nazionale, la gente chiede un cambiamento che preveda un periodo di transizione per eleggere nuove autorità nazionali. È urgente, quindi, ascoltare il grido popolare di un cambiamento».

Tra le tante espressioni di vicinanza con il popolo venezuelano, è interessante il messaggio dei vescovi del Messico ai vescovi del Venezuela datato 30 gennaio 2019. Tra l’altro scrivono i vescovi messicani: «La Chiesa ha un solo sentimento in difesa della dignità dell’uomo, del rispetto e della custodia dei suoi diritti universali, fondamentalmente la vita, la libertà e la giustizia… Ben conosciamo la situazione drammatica e di estrema gravità che vivono i venezuelani, a causa del deterioramento del rispetto dei loro diritti e della qualità della loro vita, immersi in una crescente povertà, sentendo di non avere nessuno a cui rivolgersi… Molto sangue è già stato versato per la difesa delle loro libertà e lodiamo il servizio alla riconciliazione della società reso dai vescovi venezuelani e la loro voce profetica che reclama per il giusto benessere del loro popolo, chiamando ad ascoltare il grido dei venezuelani per un cambiamento… Preghiamo il Signore affinché sostenga, benedica e accompagni la vostra amata patria, chiediamo l’intercessione di Santa Maria di Guadalupe, Imperatrice d’America, per il rapido ristabilimento del clima sociale e affinché in Cristo nostra pace, il popolo venezuelano possa avere una vita degna».

 Sperando tempi migliori
Anche padre Sante, nei suoi scritti al nostro Ufficio Missionario, esprime un barlume di speranza: «Le persone anche qui sanno che a questo mondo tutto cambia. La domanda che però si fanno è: “Si, ma quando?” … Però anche nei paesi in guerra la gente in qualche modo tira avanti, sperando tempi migliori… Al momento c’è una speranza, cosa che non ci aspettavamo solo un mese fa!»

Edieffe