I mezzi di comunicazione sono spesso occupati da notizie circa truffe, frodi e uso disinvolto del denaro altrui: l’antico motto latino “Pecunia non olet” (il denaro non puzza, per sottolineare che il denaro può essere usato senza troppo riguardo a chi lo possiede perché, appunto, non ha odore) sembra riassumere l’atteggiamento di chi si lascia andare alla speculazione, di chi non esita a ricorrere al capitale altrui per aumentare le proprie sostanze, di chi si lascia dominare dal denaro. La parabola di questa domenica ci spiazza: il padrone – appena truffato! – loda con fervore l’amministratore disonesto, di cui veniamo a conoscere il pensiero furbo e calcolatore, capace di futuro.
La pagina del Vangelo sembra cozzare con il messaggio che il profeta Amos – attivo nel regno di Samaria nell’VIII sec. a.C. – è incaricato di portare: un aspro rimprovero verso i facoltosi commercianti che falsificavano le bilance per frodare i clienti e i ricchi latifondisti che calpestavano i poveri. Non è così: la Parola di Dio riconosce – e lo possiamo fare anche noi – che gli affaristi senza scrupoli ci sono sempre stati; hanno sempre agito con spietata scaltrezza, incuranti dei diritti e del valore delle altre persone.
Con la stessa capacità di vedere la piega che gli eventi prenderanno, con la stessa creatività, con la stessa abilità siamo chiamati a vivere la nostra fede, a testimoniarla, a farla diventare vita vissuta nel nostro tempo, nel nostro contesto: e Gesù ci ricorda che «chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti». In altre parole, non siamo chiamati a fare grandi cose, ma ad allenarci piano piano, con piccoli gesti, con costante attenzione, nella vita di tutti i giorni. Gesù ci invita a farci degli amici con la ricchezza disonesta: è la ricchezza di gesti di gratuità e di bontà che accumuliamo giorno dopo giorno e che vanno a rischiarare la nostra notte. È la ricchezza dei gesti semplici su cui costruiamo le relazioni più importanti e più significative della nostra vita. È la ricchezza che lascia trasparire la presenza di Dio, nella nostra umanità: e l’insistenza che Paolo pone nel sottolineare che il mediatore tra gli uomini e Dio è solamente Gesù Cristo ci aiuta a fare un po’ di ordine nei tanti aiuti che cerchiamo per accumulare la ricchezza di una vita buona, di una vita felice, di una vita riuscita. «Il primato di Cristo e, in rapporto a lui, il primato della vita interiore e della santità», scriveva papa Giovanni Paolo II all’inizio del Nuovo Millennio: è questa la ricchezza di ogni singolo cristiano, della Chiesa intera. Ricchezza disonesta perché nascosta, perché umile, perché discreta e silenziosa, ma – incredibilmente, anche per chi la possiede! – capace di eternità, capace di slanci generosi, capace di ispirare il dono di una vita.
Assistiamo anche oggi alla vita che sgorga copiosa dalla ricchezza del Vangelo, alla santità che, zitta zitta, opera nel nostro mondo. Ricchezza, quella di Cristo, che amministriamo sempre in maniera disonesta, perché nessuno è degno di Dio, e nello stesso tempo che ci viene continuamente messa nelle mani, continuamente elargita, continuamente donata con fiducia dal Signore. Ricchezza che siamo chiamati a condividere andando incontro ai creditori desiderosi di Dio, incontrandoli lì dove sono, nella loro incapacità di pagare tutto. Paolo ci invita con forza alla preghiera: è nella preghiera, nell’ascolto umile e assiduo della Parola, nell’Eucaristia, che accumuliamo Cristo, ricchezza unica, ricchezza infinita, ricchezza che ci viene donata.