1. Il Vangelo oggi ci parla di vigilanza, di attesa operosa, di impegno a cogliere in noi la sete di Dio che c’è, ma che soffochiamo con tutti i mezzi possibili (impegni, distrazioni come fu per gli uomini e le donne ai tempi di Noè, affanni, interessi personali, cose materiali). Val la pena ricordare qui il poeta Ungaretti: «Chiuso fra cose mortali – anche il cielo stellato finirà – perché bramo Dio?».
Ecco: avvertire il desiderio di Dio che abbiamo in noi, “liberarlo” può essere il nostro primo impegno di vigilanza in questo Avvento. Gesù può tornare da un momento all’altro come un ladro nella notte: se lo attendiamo con vero, gioioso desiderio, Egli stesso ci aiuterà ad accoglierlo bene.
Un appello così incalzante è una preghiera, una supplica che il Signore ci fa, non per metterci paura ma per esprimere la sua paura: quella che Lui ha di perderci.
2. Ma chiediamoci che cosa significa per noi vegliare. Il Vangelo accosta questo verbo “vegliare” ad un altro: “tenetevi pronti”. Questo tenersi pronti richiama i pastori che pernottano in aperta campagna, quindi attenti al più impercettibile rumore, per evitare furti, danneggiamenti o anche aggressioni. Ecco allora che vegliare e tenersi pronti significa avere l’atteggiamento della sentinella, sempre pronta e sveglia.
Vegliare significa anche non dimenticare mai che la vita è un pellegrinaggio, e che, come facciamo nei pellegrinaggi, non possiamo mai perdere di vista la meta.
Vegliare significa considerare tutto ciò che di bello, di buono, di gratificante abbiamo nella vita, non privilegi da difendere, ma doni da condividere e mezzi utili per il nostro pellegrinaggio.
Vegliare significa compiere quello che siamo chiamati a fare quotidianamente, ogni servizio, davvero come fosse il primo, come fosse l’unico, come fosse l’ultimo, cioè con tutta la “passione” possibile.
Vegliare significa guardare al futuro non come un triste cammino inesorabile verso il tramonto, ma piuttosto come il continuo venirci incontro del Signore che attendiamo con gioia come Salvatore.
3. L’avvento è dunque un periodo, un tempo dinamico, come del resto è, o dovrebbe essere, tutta la vita cristiana; non possiamo starcene inerti, lasciarci prendere dalla routine quotidiana aspettando che arrivi sera, senza curarci di nulla tanto “non cambia nulla”.
Dinamico deve essere da parte nostra, perché dinamico è da parte di Dio che viene verso di noi. Quante volte ci sembra di fare l’esperienza del suo silenzio, forse della sua lontananza. In realtà Lui è sempre il “Dio che viene”, il “Dio con noi”; non cambia identità, modo di essere e di agire: occorre però avere orecchi per ascoltare, occhi per vedere, cuore per amare.
E dunque la nostra fede ci fa vivere sempre nell’attesa dinamica e operosa di un Dio che ci ha creato non per abbandonarci al nostro destino, ma si è preso cura di noi, si prende cura di noi, e avrà sempre cura di noi.
Così, cari amici, possiamo dire che la nostra vita è segnata dalla speranza cristiana; e per questo sentiamo vere e non illusorie le parole del profeta Isaia: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra», preludio a quel «Regno di amore, di giustizia e di pace», che è la presenza stessa di Dio in mezzo a noi. Una presenza sicura e irrevocabile.
A noi, ora, l’impegno a non lasciar cadere nel vuoto l’invito dell’Apostolo Paolo a questa vigilanza dinamica ed attesa operosa: «Svegliamoci dal sonno perché la nostra salvezza è vicina… perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce».
Sia questa la scelta che ci accompagna ogni giorno nel cammino verso il Natale del Signore.
