Si apre con le relazioni
«Chi me lo fa fare?». Tutt’altro che una domanda disfattista o scettica per i partecipanti al convegno diocesano con questo titolo in corso al Centro “Papa Luciani”. Il vescovo Renato Marangoni, nell’introduzione alla prima parte dei lavori, ha notato che “chi me lo fa fare?” è la prima domanda, in linguaggio non verbale ma affettivo, che il bambino rivolge ai suoi genitori ai quali è dato il compito di fornire fin da subito motivazioni all’esistenza su questa terra. Il convegno diocesano promosso dall’ufficio di pastorale sociale non si pone sul piano esistenziale ma su quello, altrettanto importante, della costruzione della società e delle buone relazioni tra le persone. «Chi me lo fa fare?» ha infatti un sottotitolo: «rianimare e rigenerare le nostre comunità richiede l’impegno responsabile di tutti e di ciascuno»; parla di buone pratiche da diffondere per avviare processi generatori di buone relazioni nel territorio bellunese, di fiducia e, perché no, di entusiasmo.
Dal Vescovo il microfono è passato al sociologo Luigi Gui, docente a Trieste: nella contemporaneità, ha sostenuto, si stanno incrinando, anzi disgregando, alcuni miti ottimistici propri della modernità, quali il progresso indefinito e l’infinita disponibilità dei beni per i consumatori. Inoltre la debolezza delle identità prende vita e corpo nei cassonetti bruciati nelle banlieue da parte di persone immigrate di seconda o terza generazione o di persone vittime della cultura dello scarto. Per fronteggiare questi fenomeni è necessario «infrastrutturare l’aggregazione», ha detto Gui, con tre accorgimenti da applicare sia negli uffici degli amministratori che nelle zone industriali che negli ambienti familiari: tener conto di spazi dove poter incontrarsi, di tempi a disposizione delle relazioni e non solo del lavoro o degli hobby, di simboli condivisi: questi ultimi, come mezzi per far scoprire che ciò che vale è oltre il mio interesse personale.
Un «controcanto esperienziale» è stato quello di Marco Ciociano Bottaretto, consigliere comunale a Belluno, che ha raccomandato alla comunità, cristiana e non, la necessità di comunicare in forma efficace e trasversale, «per rendere evidenza dei valori che professa». Giuseppe Savino, l’ultimo intervenuto prima dei lavori di gruppo, ha esordito dicendo come il giorno prima fosse sul trattore intento alle operazioni della vendemmia nel suo podere in Puglia: Savino è un professionista che ha abbandonato un posto fisso per dedicarsi all’agricoltura. Mosso dall’idea «bisogna fare cultura per cambiare l’agricoltura» è l’iniziatore di una serie di processi che hanno portato i coltivatori diretti pugliesi a incontrarsi tra di loro prima, con i ristoratori e gli albergatori del Gargano poi, per condividere buone pratiche e incentivare le relazioni, con l’obiettivo già raggiunto di indurre meno giovani ad abbandonare il proprio territorio.
Nascerà un nuovo senso del dovere?
Nel pomeriggio di sabato, la parola a Lorenzo Biagi per un intervento sincero e impietoso nei riguardi dell’Italia di oggi, che nei rapporti Censis e Istat appare come un Paese litigioso e incattivito. Le statistiche sono confermate dalle pubblicazioni del 2019 di filosofi e studiosi di Platone, Aristotele e altri giganti del pensiero antico sempre attuali: «gli ultimi mesi hanno visto un’erosione dell’humanitas e della pietas». Biagi, direttore del dipartimento di pedagogia all’Istituto salesiano di Mestre, si dimostra infastidito della continua proposta e rivendicazione, mediatica e culturale, dei diritti del singolo e propone, ancora una volta con il pensiero antico, di spostare i riflettori sui doveri. «Il mondo antico – ha detto – conosceva quattro officia communia, cioè doveri di tutti: condividere l’acqua, condividere il fuoco, dare un consiglio al viandante, tendere la mano al naufrago». Colpito dalla schiacciante contemporaneità di questi precetti (acqua potabile per tutti, energia e risorse non precluse a parte dell’umanità, rapporti ospitali, accoglienza) Biagi sorride ma inchioda alle sue responsabilità il cittadino postmoderno, «che pretende tutto senza dare nulla in cambio». Di Biagi resta però più impressa la sua proposta costruttiva: ognuno deve diventare «costruttore del legame sociale» e «rimettere in gioco la partecipazione come via non violenta». E ricorda Aldo Moro nel penultimo discorso prima di essere preso e assassinato: «non si salverà questo Paese se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere».
Giampietro Parolin poi, docente incaricato di strategie aziendali presso l’Istituto universitario Sophia di Loppiano, raccomanda di avere uno sguardo economico “oltre i beni”. «Nei Paesi ricchi – ha notato – all’aumento del Pil corrisponde una diminuzione della felicità». «Non basta chiedere quanto uno guadagna e la posizione che occupa: bisogna chiedersi se uno è contento di quanto realizza nella vita. Il successo esistenziale si riscontra in professioni a profilo vocazionale».
“Appartenenza evangelizzatrice”
Dopo la tavola rotonda del mattino, al vescovo Renato sono state affidate le conclusioni del convegno diocesano. Rinunciando a un orizzonte pastorale che spesso ha interpretato in chiave di opposizione il rapporto Chiesa-mondo, il Vescovo ha detto che i cristiani di Belluno-Feltre, abitanti di questa terra assieme a molte altre persone, sono chiamati a reinterpretare questo rapporto sotto il segno della condivisione. «Che cosa mettere in comune in questo territorio oggi?», si è chiesto il Vescovo. Quello che si può donare è proprio l’essere Chiesa, scolpito dal Vescovo nella sintesi «appartenenza evangelizzatrice». Nell’appartenenza c’è la comunità, le buone relazioni, l’ospitalità e l’accoglienza «che non può non essere aperta a tutti»; e questo sistema di buone relazioni si fa evangelizzatore di per sé, quando l’evangelizzazione «non è affare di laici, di preti, di tutti e due come categorie; è affare di comunità». Sul legame con il territorio, ragion d’essere del Convegno, il Vescovo è intervenuto pensando al territorio come a una realtà «sacrosanta; non ci sarebbe Chiesa locale se non ci fosse il territorio». È un territorio da rileggere, secondo Evangelii gaudium, «con una fraternità mistica, contemplativa, che sa scoprire Dio in ogni essere umano». Sarà paradossale che questa condivisione porterà a scoprire la presenza del Dio vivente proprio nelle persone con cui la fede viene condivisa; e questo «porterà a cambiare il paradigma della missione»: «la presenza di Dio non deve essere fabbricata, ma scoperta e svelata».
Sull’iniziativa di una scuola sociopolitica, come quella presentata al mattino da suor Francesca di Padova, il Vescovo ha chiarito di non volere un istituto che formi specialisti: «la formazione, o coinvolge tutta la persona, o è fallimentare; nascerà una scuola di formazione sociopolitica quando ci sarà una comunità nel suo insieme a prendersi carico di questo aspetto». Sotto il discorso del Vescovo appare la consegna di Evangelii gaudium alla Chiesa italiana: tre paragrafi dell’esortazione apostolica di papa Francesco hanno scandito l’inizio, il mezzo e la fine dell’intervento.
don Giuseppe Bratti