A cura di Michela De Dorigo

Diario del pellegrinaggio giubilare

Una pellegrina zoldana di 99 anni ha incontrato personalmente il Papa, passato a salutare le persone anziane o ammalate in sala Paolo VI

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Lunedì 8 settembre

Il nostro pellegrinaggio diocesano verso il Giubileo a Roma è iniziato alle prime luci dell’alba. I due pullman, organizzati con precisione “svizzera”, hanno fatto tappa nei vari punti di raccolta per accogliere uno a uno tutti i pellegrini. A Belluno è salito a bordo anche il nostro Vescovo, segnando simbolicamente l’inizio del cammino comune verso la Porta Santa.

La partenza è avvenuta con puntualità, accompagnata dal clima tipico dei grandi momenti condivisi: tra sorrisi, sguardi curiosi e qualche saluto riconoscente, ognuno cercava volti noti oppure iniziava a familiarizzare con i nuovi compagni di viaggio. È sempre bello cogliere quell’atmosfera fatta di attesa, speranza e desiderio di vivere insieme un’esperienza di fede profonda.

Durante il viaggio, accompagnati dal libretto guida preparato appositamente per il nostro pellegrinaggio, abbiamo recitato insieme le Lodi mattutine, affidando al Signore il nostro cammino e disponendoci con spirito di preghiera alle tappe che ci attendevano.

Al termine della preghiera, il nostro Vescovo ci ha esortati a vivere questo pellegrinaggio con lo spirito di Maria, donna del “sì” e del silenzio, capaci di andare controcorrente rispetto al clima di conflitto e di guerra che oggi segna il mondo, portando invece segni di pace, ascolto e fiducia. Dopo una sosta tecnica, ora siamo in viaggio verso Orvieto, prima significativa sosta del nostro itinerario.

Siamo giunti ad Orvieto, prima tappa del nostro pellegrinaggio, dove celebreremo la prima santa Messa insieme al nostro Vescovo.

Il pellegrino è colui che si mette in cammino, lasciandosi alle spalle le sicurezze quotidiane per aprirsi all’incontro con Dio e con gli altri. E proprio questo primo tratto a piedi, salendo insieme dal parcheggio al Duomo, ha assunto un significato speciale: camminare insieme, sostenersi a vicenda, aspettarsi nei tratti più faticosi, sono piccoli gesti che raccontano il vero spirito del pellegrinaggio.

Ogni passo condiviso è già preghiera, ogni sguardo rivolto all’altro è già Vangelo vissuto. In questo clima di fraternità, ci prepariamo ora a vivere la prima celebrazione eucaristica, cuore e fonte del nostro cammino di fede che verrà celebrata dopo il pranzo.

 

Nel duomo di Orvieto

Nel Duomo di Orvieto, la prima celebrazione del pellegrinaggio: con Maria, aurora di speranza.

Nel cuore maestoso del Duomo di Orvieto, abbiamo celebrato la prima Santa Messa del nostro pellegrinaggio diocesano, presieduta dal nostro Vescovo nella solennità dell’8 settembre, festa della Natività di Maria. Un momento carico di intensità, bellezza e significato, che ha dato al nostro cammino un’impronta spirituale profonda.

Il Vescovo ci ha invitati a contemplare la storia della salvezza, che in Maria trova un punto di svolta. Proprio in questa giornata, Maria ci è donata come aurora di una vita nuova, promessa di speranza e salvezza per tutta l’umanità.

Nel contesto di un mondo segnato da paure profonde — la paura della solitudine, del fallimento, dell’incertezza sul futuro, come ci ricordano le tragedie ancora in corso, lo sguardo si alza verso Maria, che ci apre a un cambiamento radicale. In Lei, Dio ha cominciato qualcosa che nessuno potrà mai cancellare: nascerà Dio, e sarà Emanuele, Dio-con-noi.

Risuonano forti le parole del Vescovo, che ci hanno aiutato a leggere anche la nostra vita alla luce della fede: il nostro nome è scritto nel cuore di Dio, e in quella storia personale, Dio si è impegnato per sempre. Come Abramo, antenato di Gesù, anche noi siamo parte di una lunga storia di fede e di promesse. Siamo chiamati ad assumerci le nostre responsabilità, perché questa vita che ci è stata donata è parte di un disegno più grande.

Dio entra nella storia in punta di piedi, con umiltà e silenzio, costruendo con Giuseppe e Maria qualcosa di eterno. Da quella fedeltà nasce la nostra speranza. Con sentimenti di gioia e gratitudine, ci siamo messi in ascolto e ci siamo lasciati toccare da questo annuncio. Il Vescovo ci ha infine incoraggiati a sostenere lo sguardo gli uni degli altri in questi giorni di pellegrinaggio, aiutandoci vicendevolmente a ribaltare lo sguardo sulla vita, come ha fatto Maria, e ad entrare nella sua stessa fede, fiducia e speranza.

 

Martedì 9 settembre

Dopo una notte di meritato riposo, ci siamo rimessi in cammino, ancora carichi delle emozioni vissute ieri. La giornata è iniziata in pullman, con le note dell’inno del Giubileo del 2000 che ci hanno accompagnato nel risveglio dello spirito: ne abbiamo cantato alcune strofe con gioia e partecipazione.

Subito dopo, abbiamo recitato insieme il Salmo 122 – «Quale gioia quando mi dissero: andremo alla casa del Signore» – per segnare l’inizio del nostro pellegrinaggio verso la Porta Santa. A seguire, il Cantico di Zaccaria ci ha aiutati a entrare in un clima di lode e attesa.

Ora siamo per strada, diretti alla Basilica di San Giovanni in Laterano; lungo il percorso, siamo transitati attraverso la parrocchia dove il nostro vescovo Renato, allora giovane prete, prestò servizio dal 1985 al 1987.

Il nostro cammino verso San Giovanni in Laterano ha subito qualche rallentamento: il proverbiale traffico romano ci ha messi alla prova, ma anche questo fa parte del pellegrinaggio. In pullman, don Fabiano ha colto l’occasione per raccontarci qualcosa sulla basilica che ci attendeva: San Giovanni in Laterano non è solo una delle quattro basiliche papali, ma è la cattedrale di Roma, la “madre di tutte le chiese”, sede ufficiale del Vescovo di Roma, il Papa. È qui che la Chiesa ha mosso i suoi primi passi ufficiali nella storia, dopo i tempi delle persecuzioni.

San Giovanni in Laterano

Arrivati davanti alla basilica, ancora con il cuore in ascolto, ci siamo raccolti in preghiera e canto prima di varcare la Porta Santa. È stato un momento intenso: insieme abbiamo meditato sull’importanza della pace, che è stato anche il primo messaggio lanciato da Papa Leone che ci ha esortati fin dal primo momento ad essere seminatori di pace. Ci siamo sentiti interpellati: la pace è una chiamata personale, ognuno di noi è chiamato a cercarla dentro di sé per poi portarla nel mondo. Alcuni hanno vissuto anche il dono del sacramento della Riconciliazione, grazie alla presenza dei nostri sacerdoti.

Poi, come comunità riunita, ci siamo spostati nel Battistero del Laterano, luogo ricco di storia e spiritualità, per rinnovare le promesse del nostro battesimo. È stato un momento semplice ma profondo: con l’aiuto dei nostri sacerdoti, abbiamo riflettuto sulla grandezza dell’amore di Dio, un amore in cui siamo chiamati a immergerci ogni giorno, lasciandoci inondare e trasformare dalla sua grazia. Uno alla volta, in fila, abbiamo attraversato la fonte battesimale scendendo e risalendo i suoi tre gradini, segno simbolico ma profondo che ha reso visibile il nostro desiderio di rinascere alla fede con cuore nuovo.

Abbiamo concluso la cerimonia con le seguenti toccanti parole: «Il Signore vi svegli dal sonno, vi faccia uscire dall’indifferenza e apra le sbarre delle prigioni in cui a volte vi siete rinchiusi. Il Signore vi aiuti a scoprire la vostra vocazione nel mondo facendovi diventare pellegrini di speranza e artefici di pace. Il Signore vi faccia sempre più appassionare alla vita nella cura amorevole di coloro che vi stanno accanto e dell’ambiente in cui viviamo».

Non siamo riusciti a percorrere la Scala santa, ma il nostro Vescovo ci ha simpaticamente invitati a provare l’esperienza sulle scale di casa e in caso di mancanza di scale possiamo chiedere ospitalità ai vicini. Siamo poi partiti tutti assieme a piedi verso il ristorante.

Lungo il percorso abbiamo incontrato la basilica di San Clemente che è una vera “basilica stratificata”, simbolo visibile della continuità tra il mondo pagano, la prima comunità cristiana e la Chiesa che cresce nei secoli. È dedicata a San Clemente, papa e martire del I secolo. Proseguendo abbiamo costeggiato l’imponente Colosseo, ammirando all’orizzonte l’affascinante altare della Patria. Nell’ultimo tratto verso il nostro ristorante, abbiamo imboccato la Via “Tempio della pace”… Piu coerenti di così!

 

Il carcere Mamertino

Dopo il pranzo nei pressi del Colosseo, abbiamo ripreso il cammino a piedi lungo la via dei Fori Imperiali, lasciandoci alle spalle i resti imponenti dell’antica Roma. Passo dopo passo, immersi nella storia, siamo giunti al Carcere Mamertino, luogo di memoria forte e toccante: secondo la tradizione, qui furono rinchiusi San Pietro e San Paolo prima del martirio. Visitare quel luogo umile, scavato nella roccia, ci ha messi in contatto con la radicalità della fede degli apostoli e con la verità della testimonianza cristiana, fatta anche di sofferenza e fedeltà fino alla fine.

Abbiamo poi proseguito la salita verso il Campidoglio, attraversando la piazza disegnata da Michelangelo, per poi scendere fino al Teatro di Marcello, dove ci attendevano i pullman per il rientro. Un altro tratto di strada, un altro pezzo di storia, un altro passo nel nostro pellegrinaggio.

 

Mercoledì 10 settembre

La terza giornata del nostro pellegrinaggio si è aperta sotto un cielo nuvoloso e carico di pioggia, quasi a ricordarci che la bellezza di certi momenti va spesso cercata oltre le apparenze. Oggi trascorreremo l’intera giornata in uno dei luoghi più significativi della nostra fede: piazza San Pietro, il cuore del cattolicesimo.

Durante il tragitto dall’hotel verso il Vaticano, abbiamo vissuto un primo momento di raccoglimento e preghiera, preparandoci spiritualmente all’incontro con il Santo Padre. Don Fabiano ci ha guidati in una breve riflessione sulla figura di sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, e sul valore delle reliquie da lei ritrovate, in particolare quella della Croce di Gesù.

Le reliquie, ci ha ricordato, sono segni tangibili della presenza di Dio nella storia, tracce concrete che ci aiutano a rafforzare la nostra fede. In un mondo che spesso si affida solo a ciò che si vede, abbiamo bisogno di questi segni che ci riportano al mistero e alla realtà viva del Vangelo.

Alle ore 10 parteciperemo all’udienza generale con Papa Leone XIV, un momento atteso e carico di emozione. Ci prepariamo a vivere questo incontro con cuore aperto, portando con noi le preghiere, le speranze e le intenzioni di tutta la nostra diocesi.

 

L’udienza generale con il Papa: il grido che diventa speranza

Durante l’udienza in un’affollata Piazza San Pietro siamo stati graziati dalla pioggia. Abbiamo avuto la fortuna di vedere passare accanto a noi la Papamobile e di poter vedere da vicino Papa Leone. La terza giornata del nostro pellegrinaggio ha avuto un centro preciso e indimenticabile: l’incontro con il Santo Padre durante l’Udienza generale.

Le sue parole hanno toccato corde profonde, sorprendendoci nella loro forza e nel loro realismo: ha parlato del grido dell’uomo, del grido che nasce dalla sofferenza, dallo smarrimento, dalla ricerca, ma che può diventare preghiera vera. «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» – non è un grido contro Dio, ha detto il Papa, ma verso Dio, come una richiesta sincera che nasce da un cuore che crede ancora, anche quando tutto sembra crollare.

Un messaggio potente, che ci ha accompagnati per il resto della giornata. Ci ha fatto pensare a quante volte anche noi, nel silenzio del nostro cammino, abbiamo trattenuto un grido. Per pudore, per paura, per abitudine. Eppure oggi abbiamo capito che gridare non è un segno di debolezza, ma può essere un atto di fede e di speranza.

Il Papa ci ha invitati a non avere paura del grido, se nasce dall’amore, dalla ricerca della verità, dalla sete di giustizia o dal desiderio di essere ascoltati. Ha parlato del grido come forma estrema di preghiera, come invocazione che non si rassegna, che vuole ancora credere, che si affida.

«Nel viaggio della vita, ci sono momenti in cui trattenere tutto dentro può consumarci lentamente. Gesù ci insegna a non avere paura del grido, purché sia sincero, umile, orientato al Padre. Un grido non è mai inutile, se nasce dall’amore. E non è mai ignorato, se è consegnato a Dio. È una via per non cedere al cinismo, per continuare a credere che un altro mondo è possibile».

Le parole del Pontefice ci hanno insegnato anche che la fede non è solo pace interiore, ma anche coraggio di gridare… per non cedere al cinismo, per credere che un altro modo è possibile. Oggi abbiamo gridato – forse con la voce, forse solo nel cuore – ma l’abbiamo fatto verso Dio, con la speranza che Lui ascolta. E, come ha detto il Papa, dal grido può nascere una nuova vita.

A margine dell’Udienza generale, in sala Paolo VI, una pellegrina di 99 anni, originaria di Fornesighe (Val di Zoldo), ha avuto la gioia di salutare personalmente il Papa, che è passato per incontrare le persone anziane o con difficoltà di salute, accolte nella sala vicina a Piazza San Pietro. La signora era ovviamente emozionatissima e felicissima.

Al termine dell’udienza, fino all’ora di pranzo, abbiamo potuto usufruire di un po’ di tempo libero durante il quale abbiamo riflettuto sulle intense parole del Papa, abbiamo potuto acquistare qualche ricordo del nostro pellegrinaggio, lottando con ombrelli e impermeabili a causa della pioggia che ogni tanto riprende copiosa.

Pomeriggio di pioggia, fede e passi condivisi

Il pomeriggio della terza giornata del nostro pellegrinaggio ci ha regalato un’esperienza intensa, autentica, che rimarrà impressa nel cuore di ciascuno. Dopo pranzo, ci siamo ritrovati in Piazza Pia, pronti a metterci in cammino verso la Porta Santa della Basilica di San Pietro. A guidare i nostri passi, una croce portata con devozione da uno dei giovani del gruppo: un segno semplice ma potente della nostra fede condivisa.

Dopo pochi passi, il cielo ha iniziato a cambiare volto. Una pioggia improvvisa, forte, insistente si è abbattuta su di noi, trasformando il nostro cammino in una vera esperienza di penitenza. Eppure, nessuno si è fermato. I volti bagnati, i vestiti inzuppati, i passi rallentati: tutto parlava di un pellegrinaggio reale, vissuto con serietà, umiltà e partecipazione.

Abbiamo varcato la Porta Santa, stanchi ma profondamente uniti, e bagnati dalla pioggia abbiamo raggiunto l’altare di Pietro, cuore della Basilica, per il nostro momento di preghiera comunitaria. È stato un momento profondo, segnato da una forte comunione tra noi e con il Signore. Desideravamo concludere la preghiera con una visita alle Grotte Vaticane, per sostare davanti alla tomba del nostro amato Papa Giovanni Paolo I. Purtroppo, la Basilica chiudeva alle ore 17, e le grotte erano già state chiuse al pubblico. Non l’abbiamo vissuto come una delusione, ma come un segno: forse, il Signore ci sta già indicando che il nostro cammino a Roma non è finito. Torneremo, con cuori ancora più aperti. Nel rientro, il pellegrinaggio si è trasformato in una sorta di itinerario urbano della memoria e della cultura. Abbiamo attraversato il quartiere di Trastevere, Piazza Trilussa, passando accanto al carcere di Regina Coeli e alla casa dove visse Carlo Verdone, figura cara a tanti italiani. Abbiamo intravisto anche la porta di accesso al mercato particolare di Porta Portese.

Poco più avanti, siamo transitati vicino al Quartiere Ebraico, una presenza antica e profondamente radicata nel cuore di Roma. Abbiamo ricordato la ricchezza e la sofferenza di questa comunità, che fa parte della storia spirituale e umana della città. Infine, uno sguardo all’Isola Tiberina, che fin dai tempi dei Romani è stata luogo di cura e accoglienza, con il celebre Ospedale Fatebenefratelli. Infine Mura Aureliane, porta San Paolo fino ad arrivare al quartiere dell’EUR dove si trova il nostro hotel.

Un pomeriggio che ci ha bagnati nel corpo, ma che ci ha scaldati nello spirito. Fatica, bellezza, preghiera e scoperta si sono intrecciati in un’esperienza che porteremo con noi ancora a lungo.

 

Giovedì 11 settembre – ultima giornata del nostro pellegrinaggio

La nostra ultima giornata di pellegrinaggio si è aperta con la consueta colazione e la preparazione dei bagagli, caricati sul pullman che ci avrebbe accompagnati verso l’ultima tappa del nostro cammino spirituale.

Abbiamo iniziato la giornata con la preghiera mattutina, recitando il Salmo 83, che non abbiamo potuto recitare il giorno precedente a causa della pioggia, proprio durante l’ingresso alla Porta Santa. Subito dopo, abbiamo meditato sul Salmo 23, affidandoci con fiducia al Buon Pastore che guida i nostri passi. A cori alterni, abbiamo cantato con gioia il Cantico di Zaccaria, esprimendo gratitudine e lode al Signore. Abbiamo infine elevato al cielo tutte le nostre intenzioni recitando insieme il Padre Nostro.

Il nostro cammino ci ha condotti lungo l’antica Via Appia, costeggiando tratti delle maestose mura romane, fino a giungere alle Catacombe di San Sebastiano, ultima tappa del nostro pellegrinaggio.

In questo luogo sacro, immerso nella quiete della campagna romana, abbiamo ricordato come i primi cristiani si prendessero cura dei defunti con grande rispetto e fede, testimoniando la speranza nella risurrezione. In queste catacombe, oltre a numerosi fedeli, sono stati sepolti anche i primi Papi, rendendo questo luogo un tesoro prezioso della memoria cristiana.

Lungo l’antica Via Appia, poco distante dall’ingresso delle Catacombe di San Sebastiano, sorge la suggestiva Chiesa del «Domine, Quo vadis», un piccolo gioiello ricco di significato spirituale e storico. Secondo la tradizione, fu proprio in questo luogo che san Pietro, in fuga da Roma per evitare la persecuzione, ebbe una visione di Gesù che gli veniva incontro. Alla domanda: «Domine, quo vadis?» («Signore, dove vai?»), Cristo rispose: «Vado a Roma per essere crocifisso di nuovo». Quelle parole toccarono profondamente Pietro, che comprese di dover tornare indietro a compiere la sua missione, affrontando il martirio con fede e coraggio. Siamo così arrivati alla catacombe con un po’ di anticipo.

 

La Messa conclusiva: una comunità in cammino, testimone di speranza

Nel cuore della nostra ultima giornata di pellegrinaggio giubilare, abbiamo vissuto la celebrazione della santa Messa conclusiva, momento intenso e raccolto che ha sigillato il senso profondo di questo cammino, fatto di passi fisici e spirituali.

Siamo stati guidati dal Vescovo con una riflessione profonda: la Chiesa non è fatta di pietre, ma di persone, di storie vere, di volti e di relazioni. Tutto nasce da noi, dalla nostra risposta personale alla chiamata di Dio. La nostra fede prende forma concreta nella testimonianza di Cristo e si radica nelle scelte quotidiane di chi decide di seguirlo.

In questi giorni, abbiamo camminato, toccando con mano i luoghi santi, varcando la Porta Santa, segno vivo di incontro con Gesù. Abbiamo professato la nostra fede sulla tomba di Pietro, riconoscendo che la nostra fede si fonda sul cammino degli apostoli, in particolare sulla testimonianza di Pietro, primo tra i testimoni e tra i martiri.

La Messa si è svolta in un luogo che parla proprio della testimonianza estrema: le catacombe di San Sebastiano, dove riposano le spoglie dei primi cristiani che hanno dato la vita per il Vangelo. Qui, accanto a Pietro e ai primi martiri, abbiamo ricordato anche i martiri di oggi, i tanti cristiani che nel mondo ancora oggi testimoniano la fede in modo eroico.

Ma anche noi siamo chiamati a essere testimoni, ogni giorno. In questa Messa ci siamo sentiti profondamente “Pellegrini di speranza”, in sintonia con il motto del Giubileo 2025. E ci siamo interrogati: Tu, pellegrino, che ritorni al tuo quotidiano, quali segni porti con te?

Siamo stati invitati a portare a casa due atteggiamenti fondamentali per la testimonianza cristiana: la dolcezza e la speranza.

La Prima Lettera di Pietro ci ha ricordato di “rendere ragione della speranza che è in noi con dolcezza e rispetto”. E ci ha chiesto: Quanto dolcezza c’è nei nostri atteggiamenti quotidiani? È proprio attraverso la dolcezza che il Vangelo si rende visibile e credibile. Più di ogni discorso, è la dolcezza dei gesti e delle parole che testimonia Cristo.

Il Vangelo proclamato è stato forte e chiaro: la Parola di Gesù è esigente, perché parla della croce e del martirio, ma allo stesso tempo è consolante, perché ci invita a non avere paura. Abbiamo un Padre che è buono in modo indescrivibile, e possiamo affrontare ogni prova con serenità, sapendoci nelle sue mani.

Infine, il vescovo ha richiamato il vero significato del Giubileo: è tempo di rinascita, di porte aperte e cuori aperti. Ha sottolineato come, in questi quattro giorni, abbiamo vissuto come una sola comunità, pur provenendo da parrocchie diverse. Questa fraternità vissuta va custodita come un tesoro prezioso.

E proprio da questo spirito comunitario nasce un impegno: essere presenza viva e di sostegno nelle nostre parrocchie, soprattutto in vista dei cambiamenti che molte di esse stanno affrontando o affronteranno nei prossimi mesi.

La visita alle catacombe di San Sebastiano: alle radici della fede

Dopo la celebrazione della Messa, il nostro pellegrinaggio si è concluso con la visita alle Catacombe di San Sebastiano, un luogo intriso di spiritualità e memoria, che ci ha condotti alle radici vive della nostra fede. Risalgono al III secolo d.C. e sono fra le più antiche di Roma, hanno una lunghezza di 12 chilometri di gallerie sotterranee, sono distribuite su quattro livelli e hanno conservato circa 60.000 sepolture.

Accompagnati da una guida molto preparata e coinvolgente, abbiamo percorso i corridoi sotterranei scavati nel tufo, la roccia vulcanica tipica del sottosuolo romano, che ha reso possibile la realizzazione di questo vasto e articolato cimitero cristiano.

Le catacombe ci hanno mostrato tre principali tipologie di sepoltura:

  • i loculi, semplici nicchie scavate lungo le pareti;
  • i cubicoli, piccoli ambienti familiari decorati con affreschi e simboli cristiani;
  • le arcosoli, tombe più eleganti spesso riservate a persone di rilievo.

All’esterno delle catacombe fu costruita una necropoli di epoca pagana, testimonianza di come, in questo luogo, si siano incontrate e sovrapposte storie e culture diverse. Un’interessante curiosità riguarda proprio questa necropoli: in epoca tardo-antica venne sigillata e interrata e per preservarla dall’umidità e dai danni del tempo venne chiusa con delle anfore. Una scelta straordinaria per l’epoca, che ha permesso la perfetta conservazione di molti monumenti funerari, decorazioni e iscrizioni, ancora oggi visibili.

Durante la visita, ci è stato mostrato anche il luogo originario della sepoltura di San Sebastiano, situato esattamente tre metri sopra l’attuale tomba. Questo dettaglio archeologico ci ha permesso di comprendere ancora meglio la stratificazione storica e la profonda venerazione riservata fin dall’antichità a questo martire romano.

L’emozione è stata ancora più viva nel momento in cui abbiamo calpestato un tratto originale della Via Appia Antica, calcando le stesse pietre percorse da generazioni di viandanti, apostoli e testimoni della fede.

A custodire questo luogo santo sorge la Basilica di San Sebastiano, costruita sopra le catacombe, più volte rinnovata nel corso dei secoli. All’interno della basilica abbiamo ammirato anche un’opera d’arte di straordinaria bellezza e significato: il busto del Cristo, considerato l’ultima opera scultorea di Gian Lorenzo Bernini, realizzata come atto di fede personale dell’artista ormai anziano.

Questa visita, intensa e toccante, ha rappresentato l’ultimo passo del nostro pellegrinaggio. Camminare tra le tombe dei primi cristiani ci ha ricordato che la nostra è una Chiesa fatta di pietre vive, di testimoni che, ieri come oggi, portano la luce del Vangelo nel mondo.

Michela De Dorigo

Post scriptum

Al termine della celebrazione presso le catacombe, il Vescovo ha ringraziato Michela De Dorigo (nella foto con il parroco don Fabiano), narratrice precisa ed entusiasta di queste giornate di pellegrinaggio.