Sesta domenica di Pasqua

Discepoli non bloccati nell’inerzia

a cura di don Renato De Vido

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Il primo brano che ci viene incontro oggi è di carattere descrittivo, cioè narra cosa accadeva ai primi evangelizzatori. Ogni inizio, ogni germoglio è interessante per comprendere il dopo; e anche questi temi ci interessano sempre perché non è cambiato il modo di “fare vangelo” nella Chiesa odierna.

1. Anzitutto si parla di “missione”. I primi credenti mostrano subito quello che avevano ricevuto come consegna e come segno distintivo: devono “dare testimonianza” anziché rinchiudersi nell’amicizia tra di loro, o nella custodia gelosa delle parole di Gesù. Non possono stare bloccati nell’inerzia; cercano una zona a rischio, come si presentava la Samaria di allora rispetto ai Giudei.

Mentre nell’antichità Gerusalemme si sognava e si descriveva come il centro unificatore di tutta la religione, adesso comincia un cammino inverso: da Gerusalemme si espande l’annuncio, da Gerusalemme partono i missionari, il cenacolo dei pochi diventa mondo intero e scenario di tempi nuovi.

2. Gli apostoli si qualificano subito come i continuatori dell’azione di Gesù. Poteva essere legittimamente preoccupato per il futuro di quel piccolo gruppo che si era raccolto attorno: si sarebbero dispersi, come dopo una parentesi intensa di comunione reciproca, o avrebbero dato interpretazioni stravaganti dell’esperienza vissuta accanto al Maestro.

Ed invece, come la rivelazione di Gesù nel vangelo si era attuata attraverso le parole e i gesti, così avviene nella predicazione degli apostoli: essi fanno catechesi, operano miracoli, liberano da possessione diabolica, si sentono né più né meno che interpreti di quanto hanno ricevuto direttamente dal Signore.

3. Una Chiesa così impostata e determinata, benché ancora inesperta di organizzazione, trae la sua linfa da una scuola forte. La scuola della fiducia che i comandamenti dati da Cristo scorreranno grazie all’amore che si nutre per la persona del Signore.

La salvezza ha veramente dimensione universale. Non c’è preclusione, davanti a Dio, per quanto riguarda la chiamata alla nuova fede. Non sarebbe paterno e misericordioso un Dio che fa parzialità tra i suoi figli, o che ne giudica alcuni adatti ed altri non idonei a dargli una risposta di obbedienza.

4. Gesù li guarda, durante l’ultima cena – vengono chiamati “i suoi” – con l’affetto di chi sogna l’umanità intera radunata attorno a quella mensa; non li può lasciare allo sbando, orfani, perché li avrebbe traditi nella fiducia. Offre loro quello che ha di più personale: promette lo Spirito Santo, che farà da assistente, da avvocato, da promotore delle loro iniziative apostoliche.

Il grande teologo del secolo scorso, H. U. von Balthasar, presenta la persona dello Spirito Santo come Colui che «scortò» il Verbo eterno ad incarnarsi nel grembo purissimo della Vergine; da quel momento e per tutta la vita pubblica di Gesù, lo Spirito Santo avrebbe continuato a presentare al Figlio la volontà del Padre e avrebbe sostenuto il Messia nella sua missione.

Lo Spirito Santo non è altro che il Cristo Risorto che agisce misteriosamente ed efficacemente nei cuori dei discepoli. È la presenza durante l’assenza visibile. È l’amore che spinge gli uomini gli uni verso gli altri e verso Dio. Gesù non lo può far mancare alla sua Chiesa, perché sarebbe come un corpo di una persona che vive senza respirare.