Giovedì 4 luglio scorso a Roma, presso l’Università Lateranense, don Giorgio Aresi ha conseguito il dottorato in filosofia discutendo la tesi «Per una metafisica. Il contributo di Virgilio Melchiorre». Un lavoro molto apprezzato dalla commissione che ha dato a don Giorgio il massimo dei voti: “Summa cum laude”. Alla discussione erano presenti i genitori e una rappresentanza di docenti del liceo Lollino.
Un aneddoto racconta che un giorno Talete, il primo filosofo, stesse camminando in campagna e guardando il cielo, col naso all’insù, cadde in un pozzo. L’immagine del filosofo distratto e con la testa tra le nuvole, che non sa badare alle faccende concrete di una vita quotidiana, si è conservata intatta nel corso dei secoli. Questa lettura non può essere applicata a Virgilio Melchiorre. Da giovane, dopo essersi laureato all’Università Cattolica di Milano, lavora presso la RAI intessendo rapporti con più esponenti della cultura italiana e gli viene affidata la responsabilità della “Sezione drammaturgica” con sede a Milano. In questa città avviene una “svolta” accademica quando, dopo aver scelto di lasciare una carriera dirigenziale a Roma nell’azienda radiofonica italiana, riceve l’incarico di insegnamento della Cattedra di Filosofia della storia e diviene poi titolare dell’insegnamento di filosofa morale. Il suo alunno Massimo Marassi lo ha descritto un «gigante del pensiero che ha rivoluzionato la metafisica».
La prima parte della tesi presenta le ragioni della metafisica e le criticità teoretico-sapienziali che essa incontra specialmente oggi, nel contesto della post-modernità, caratterizzato tra l’altro da un io-minimo sostanzialmente autoreferenziale, dal tempo visto unicamente come adattamento della vita al tempo dell’orologio e dalla libertà che confonde la giusta autonomia con un’autofondazione di sé provocando una estensione del soggetto e una ritirata dell’essere.
Nella seconda parte vengono evidenziate alcune figure di riferimento per comprendere il pensiero di Melchiorre: Kierkegaard, con la sua sottolineatura esistenziale del soggetto nella propria singolarità e nel suo rapporto fondamentale con l’infinito, Bontadini, più legato alla metafisica classica e tuttavia radicato nel sentieri del pensiero moderno, Husserl che nella sua fenomenologia ammette l’esigenza di “un rinvio metafisico”, Heidegger, che ripropone la domanda metafisica cogliendo anche l’uomo nella sua finitudine di essere per la morte, Mounier e le sue ricerche personalistiche e sociali all’insegna di una conciliazione tra Cristianesimo e storia.
La terza parte presenta l’itinerario speculativo di Melchiorre sotto le prospettive ontologica, antropologica, analogica-simbolica, nel senso di un linguaggio che parte dal limite umano superandolo nella prospettiva del divino. Molto interessanti e originali sono le conclusioni che don Giorgio rileva: la passione di Melchiorre per il pensiero che eleva la ragione alle sue più alte potenzialità toccando le corde spesso più disattese dell’esistenza umana, quali la libertà, la sessualità o la morte, con una filosofia che parte dall’uomo e giunge agli orizzonti dell’Assoluto; il confronto con i filosofi del passato e moderni nella ricerca di un senso dell’esistenza che solo un fondamento d’Essere può dare. Senza reticenze Melchiorre, pur nel rispetto della differenza degli ambiti, si apre infine al dialogo con la teologia e la fede.
Non a caso la tesi si conclude con una citazione di Sant’Agostino e la sua appassionata ricerca della verità «affinché l’uomo interiore si congiunga a ciò che abita in lui con un piacere non infimo e carnale ma sommo e spirituale».
G.M.