Celebrazione a Canale d'Agordo nell'anniversario dell'elezione

Fermezza e dolcezza, impegno e lealtà

L'omelia dell'arcivescovo Perego nel ricordo di Papa Luciani

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«È un’emozione e un dono presiedere questa celebrazione eucaristica nel ricordo del Venerabile Papa Giovanni Paolo I, Albino Luciani, nel suo paese e nella sua terra». Esordisce così l’arcivescovo Perego nella sua omelia, pronunciata sulla piazza di Canale d’Agordo, durante la concelebrazione nel 42° anniversario dell’elezione di Albino Luciani al Soglio di Pietro.

Le parole di san Paolo ai Tessalonicesi, proclamate nella prima lettura del giorno, raccomandano di tenersi «lontani da ogni fratello che conduce una vita disordinata». Prendendo spunto da esse, il vescovo Gian Carlo osserva che «in ogni tempo e anche oggi ci sono “cattivi maestri” che rischiano di disorientarci, sul piano sociale e morale, ma anche ecclesiale». E proprio per questo la Chiesa accompagna i suoi membri «con figure di cristiani che… hanno vissuto le beatitudini evangeliche» e li propone come «modelli da imitare». Con il decreto sulla venerabilità del novembre 2017, la Chiesa ha già riconosciuto «ufficialmente che papa Luciani “ha seguito più da vicino l’esempio di Cristo con l’esercizio eroico delle virtù (…) e, pertanto può essere proposto alla devozione e all’imitazione dei fratelli“».

Di qui la domanda: «In che cosa siamo chiamati ad imitare papa Luciani?». Anzitutto – commentando le parole di Paolo: «abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi» – mons. Perego ricorda lo strenuo impegno con cui Albino Luciani si preparò all’insegnamento teologico negli anni della guerra, «senza far pesare nulla e senza far mancare nulla ai seminaristi, ma piuttosto pagando di persona». In questo è esempio che risponde a chi «vende una vita facile, senza sforzo, senza impegno nella scuola e nel lavoro: in realtà nulla si ottiene senza sacrificio, senza dedizione, senza pagare di persona».

In secondo luogo – sottolinea il presule – Luciani fu esempio di lealtà e obbedienza al Papa, durante la «bufera del ’68 che rischiava di travolgere il Magistero di Paolo VI a difesa della vita e di una concezione cristiana della sessualità e del matrimonio – con l’enciclica Humanae vitae». Allora il vescovo Luciani dimostrò «la sua lealtà e obbedienza, anche quando nel collegio episcopale e nel presbiterio salgono dei distinguo che rischiano di minare la morale cristiana».

Ma più intesa e certamente partecipata – com’era atteso da parte di un vescovo, che per anni è stato direttore della fondazione Migrantes – è stata la sottolineatura della preferenza di Luciani per i poveri. Nella sua ultima udienza, il 27 settembre 1978, egli richiamò parole di Paolo VI: «I popoli della fame interpellano in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La Chiesa trasale a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello» (cfr. Populorum Progressio 3). Il grido di Paolo VI, rilanciato da papa Luciani, oggi è il grido «di papa Francesco per i popoli alla fame in cammino e che giungono in Europa. È un grido di fame e di vita che non può rimanere inascoltato dal popolo di Dio, che anche su questo rischia l’ipocrisia di girarsi dall’altra parte o di nuovi distinguo – come “gli scribi e farisei ipocriti” ricordati dalla pagina evangelica di Matteo – che fanno dimenticare il dolore e la storia di uomini e donne, madri e padri, giovani e bambini». L’arcivescovo richiama la severa ammonizione di papa Francesco sul problema delle migrazioni: «Alcuni cattolici affermano che è un tema secondario rispetto ai temi “seri” della bioetica. Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può comprendere, ma non un cristiano, a cui si addice solo l’atteggiamento di mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai suoi figli» (Gaudete et exsultate 102).

Intensa e accorata la conclusione: «La santità non cresce sull’egoismo e l’individualismo, ma solo nella condivisione e nell’attenzione agli altri e al mondo. Come è stato capace Papa Luciani, il cristiano, il pastore di questa terra […] il Signore ci renda capaci di raccogliere e approfondire la testimonianza di fermezza e di dolcezza, di impegno e di lealtà di Albino Luciani, Papa Giovanni Paolo I, e di accogliere lo spirito delle Beatitudini che lo hanno animato in tutta la sua vita».

Il saluto del Sindaco

Sulla stessa lunghezza d’onda si è sintonizzato il Sindaco Flavio Colcergnan, che ha rivendicato l’autenticità sociale – oltre che spirituale – del suo concittadino: «parlava di fame perché lui la fame l’ha sofferta da bambino, durante e dopo la guerra». È certo che se oggi fosse vivo, non risparmierebbe critiche all’edonismo che «cavalca perfino la pandemia». Forse al suo tempo non è stato del tutto capito, ma Giovanni Paolo I – ne è convinto, pur da laico, il Sindaco – è stato un grande, di quelli che si scoprono con gli anni: «Papa Luciani non venne subito capito; anzi, molti scambiavano il suo presentarsi senza ostentazione come una mancanza di carisma e di tempra intellettuale». Invece – ha sottolineato il primo cittadino di Canale – «La capacità di precorrere e anticipare teorie o bisogni non sempre è capita; ma chi ha questo dono – sia esso dovuto a razionalità matematica, o a spiritualità o anche a elevatura morale – queste persone tracciano la via, creando i presupposti per l’avvenire […] Io penso che, se oggi, dopo 42 anni, ancora siamo qui a ricordare Papa Luciani, attraverso la celebrazione di una Messa, è perché in cuor nostro, sappiamo che ciò che egli aveva iniziato, ora è proseguito». [DF]

 

Leggi il saluto iniziale del vescovo Renato

Leggi l’omelia dell’arcivescovo Perego

Foto di Carlo Lorenzi ©e Danilla Serafini: si ringraziano per la collaborazione.