Giovedì 7, venerdì 8 e sabato 9 marzo si tiene nelle parrocchie di tutta la diocesi la terza edizione dei «Giorni dello Spirito e di comunità». Ne abbiamo parlato con il vescovo Renato che in questa intervista ricorda il significato e le principali caratteristiche di questi appuntamenti a cui tutti sono invitati a partecipare.
IL NOME
Perché è stato scelto questo nome, «Giorni dello Spirito e di comunità»?
«I “giorni” dicono il tempo e questo è importante perché la nostra esperienza ha bisogno dei suoi tempi, dei sui ritmi; e allora ecco “giorni” al plurale: sono tre, un numero indicativo. All’inizio della Quaresima i tre giorni rimandano al gran finale, al Triduo pasquale. Dicendo poi che sono “Giorni dello Spirito” interessa sottolineare che il vero protagonista è lui, lo Spirito. “Giorni di comunità” dice uno stile, una finalità: si radunano coloro che accolgono questa proposta, che si riconoscono bisognosi di caratterizzare l’inizio della Quaresima come un cammino di impegno, ma soprattutto di riconoscenza e di accoglienza di un dono che ci viene fatto. E i “giorni” saranno proprio di accoglienza del dono, in primo luogo di essere insieme, in condivisione. E poi accoglienza del dono della parola di Dio sulla quale ci si confronta, si condivide e si caratterizza anche tutto il cammino della Quaresima».
LA MODALITÀ
Saranno incontri articolati in cui ci sarà da pregare, da dialogare e da condividere, ma anche da vivere nella fraternità e nella convivialità. Perché è stata scelta questa modalità?
«Di solito pensando agli appuntamenti delle parrocchie si ha presente principalmente la Messa che certo è il momento centrale della nostra esperienza di fede, che però non può essere ridotta semplicemente a quel momento. In questo caso vogliamo soprattutto recuperare l’aspetto del trovarsi insieme perché a volte si va a Messa e si rischia di non accorgersi di chi ci sta intorno, invece c’è bisogno di aprirsi, di potersi anche parlare. Il momento di condivisione previsto per ogni sera quest’anno lo proponiamo all’inizio perché si cominci col dirsi qualcosa. È una proposta di condivisione per ascoltarsi. L’obiettivo non è di fare dibattiti e di risolvere problemi impossibili, ma è quello appunto di ascoltarsi, di sentire l’esperienza di ciascuno, ciò che i partecipanti possono dire come loro pensiero, come loro difficoltà. Di qui si passa a un secondo momento: quello che abbiamo condiviso lo poniamo accanto alla Parola di Dio che la liturgia quel giorno propone. In particolare abbiamo scelto per quest’anno le prime letture di quei giorni, letture dell’Antico Testamento, molto incisive (il Deuteronomio il primo giorno, poi il profeta Isaia) che dettano anche i temi dei tre giorni. Infine suggeriamo che ci sia anche un momento conviviale, che può essere la consumazione di un piccolo pasto, di una piccola cena o una sorta di merenda. Questo per riattivare anche la bellezza dello stare insieme e, quando si mangia e si beve insieme, si cambia sul serio, non si è più come prima».
I DESTINATARI
A chi sono rivolti questi momenti? Chi può parteciparvi?
«Per questa occasione puntiamo su un passaparola. Certo ci sarà il manifesto, ci sarà l’avviso in chiesa, ma noi vogliamo un po’ stimolare che ci si inviti a vicenda a livello di conoscenza, di amici, di vicini di casa. “Ma perché non vieni stasera?”. Questo evidenzia un aspetto fondamentale: l’adesione libera, ma anche frutto di una conoscenza, di un’amicizia, di una parola buona, di un invito. Penso che sia anche questo quello che deve caratterizzare di più il ritrovarsi in parrocchia».
IL PRIMO GIORNO
Questi tre incontri saranno caratterizzati da una riflessione che prende le mosse dal significato dell’abitare, inteso non solo come una riflessione relativa al posto in cui risiedo, ma anche come relazione…
«Ogni giorno ci sarà uno sviluppo di quell’unico tema che è dato dal titolo: “Giorni dello Spirito e di comunità”. Nel primo giorno, il giovedì successivo al mercoledì delle ceneri, c’è un invito che viene dalla parola di Dio di quel giorno: è Mosè che parla al popolo e lo invita ad entrare nella terra promessa. L’entrare, dice Mosè, è un abitare questa terra che è stata data come dono e che va abitata. Subito il gruppo di lavoro che ha preparato l’iniziativa ha colto in ciò uno spunto per invitare a riflettere sul nostro abitare. Innanzitutto in questo territorio, in questo contesto, ma anche in questo tempo perché si abita questo tempo diversamente da come si faceva alcuni decenni fa. Non solo, c’è anche una possibilità di dirsi come si abita la stessa comunità. E poi è possibile che ognuno possa proporre una piccola esperienza: come abita le sue relazioni di amicizia, come abita la sua esperienza familiare, con le difficoltà che possono esserci. L’abitare dice un modo di essere profondo che investe tutti gli aspetti della persona: gli affetti, il pensiero, l’azione. E poi il rapporto con il luogo e le persone con cui abiti. Quindi è molto stimolante. Questo sarà il primo imput della prima sera. Ci si potrà dire qualcosa nel momento di condivisione e poi si va nel momento della preghiera: ci si confronta con la parola di Dio e anche lì avviene un piccolo gesto che è integrativo del momento della preghiera e dell’ascolto».
IL SECONDO GIORNO
Il secondo giorno si parlerà anche delle possibili ferite, dei possibili problemi che caratterizzano l’abitare e le relazioni.
«La seconda sera è il venerdì, giorno che richiama e anticipa il venerdì santo. Dalla lettura di Isaia viene colto l’invito a prendere atto che la vita è fatta anche di ferite. In quella pagina si dice: “Ma la tua ferita si rimarginerà”. Un’espressione che richiama lo scenario di quello che abbiamo vissuto nei mesi scorsi, il 29 ottobre e i giorni successivi: una ferita che ha toccato tutto, l’ambiente, ma anche le comunità, le istituzioni, la realtà viva di questo territorio, ma anche l’invito e l’impegno a ricostruire. Quella seconda sera, il venerdì, richiama anche le ferite del Cristo, la sua morte, l’ingiustizia che si scarica su di lui. Ma quel venerdì santo è carico anche di una promessa: “si rimarginerà”. Vorremo vivere questo, ma guardandoci anche attorno per quello che ci sta succedendo, che ci è successo. Quindi è possibile condividere qualche esperienza di ferita, come la stiamo vivendo, e anche ci è parso opportuno inserire la canzone “Alziamo la voce” che 50 giovani artisti ci hanno donato: non è solo una canzone, è davvero una profonda provocazione che tocca da vicino il vissuto sperimentato da queste popolazioni in quei giorni lì. Quindi, dopo la condivisione, la preghiera e la Parola si esprimono in un gesto direi commovente: il Cristo crocifisso è posto davanti a noi, piantato sulla terra, non per aria (come a dire che raccoglie tutte le ferite) e si chiede a chi partecipa di ungere con un unguento profumato quel corpo; un gesto che richiama la cura vicendevole, la pazienza di curarsi, di curare le ferite in attesa del loro rimarginarsi; quello che ne scaturisce sia la prospettiva che ci sta davanti».
IL TERZO GIORNO
Arriviamo al terzo giorno. La scoperta che la ferita, la difficoltà può diventare un’occasione di rinascita, di sviluppo nuovo, di nuove opportunità. Forse qualcuno potrebbe dire: più facile dirlo che farlo.
«È vero. Però penso che quando dentro di noi prendiamo la decisione di attraversare, perché ci troviamo iniziati a una ferita, a una situazione di sofferenza, di malattia, c’è già dentro di noi la spinta ad attraversarla e a venirne fuori. Quella sera Isaia dice una cosa molto bella: “tu sarai chiamato riparatore di brecce, restauratore dei sentieri”. Direi che anche letteralmente queste espressioni richiamano quello che abbiamo vissuto e sono molto efficaci. Quella sera lì, il sabato, si conclude questa esperienza con l’invito ad avere la pazienza e il coraggio a diventare riparatori di brecce e restauratori di sentieri. Questa prospettiva tocca da vicino il vissuto di ogni persona, delle comunità, delle situazioni familiari, ma anche dell’ambiente. Quella serata sarà anche molto semplice. Verrà proposto un momento di condivisione molto leggero, però profondo, in modo che sia la vita a parlare. E poi un momento di preghiera che viene predisposto e preparato anche da dei video: uno che presenta coloro che impagliano le sedie, come a dire: intessendo i fili di quella paglia che hai puoi fare nuova la sedia. Poi c’è anche una foto nel video che mostra un’arte giapponese che da una tazza rotta, riprendendone i cocci e usando un incollante con polvere d’oro, dà vita a una tazza ancora più bella di quanto fosse prima. Vogliamo lanciare anche questo messaggio positivo con l’auspicio che quei giorni, che sono un tirocinio di vita (perché così è ogni cammino esistenziale e di fede) e che sono condivisi con altri, portino davvero dall’abitare, dall’essere dentro alle situazioni della vita, al saperci aiutare ad affrontare anche le eventuali ferite, le fatiche che ci sono, per uscirne con una forza rigeneratrice, facendoci portatori di rigenerazione, di fiducia e di speranza. È poi quello che vivremo lungo la Quaresima per sfociare nella Pasqua».
LA FRATERNITÀ
In tutti i vari momenti viene sottolineata l’esigenza dell’ascolto, dell’accoglienza, dell’accompagnamento come una dinamica che caratterizza il nostro essere comunità, il nostro fare fraternità.
«Questa parola fraternità non è semplice. Ci sembra impossibile la fraternità, ma è dentro ogni esperienza che facciamo di conoscenza delle persone. Quando qualcuno ci aiuta lo sentiamo dentro di noi come un impulso profondo che nasce dalle nostre stesse viscere, dall’interno di noi. Io direi di parlarsi di più di fraternità come esigenza anche del vivere sociale. È inimmaginabile una società, anche una società civile oltre che una comunità di fede, senza davanti a noi l’appello e anche l’ideale della fraternità. Certo non ci arriveremo mai, ma camminare su quella strada permette alla vita di essere vita, permette anche che non sia un’illusione, una frustrazione tutto quello che ci attendiamo dal vivere comune, ma che sia una strada percorribile».
LAICI PROTAGONISTI
Questi incontri non saranno animati dal parroco, ma da persone comuni che si rivolgono ad altre persone comuni, agli altri componenti della comunità.
«È vero, ma non per mettere da parte i parroci, ma per aiutarli, per sollecitare un modo, uno stile condiviso in cui aiutarci a vicenda. Nei giorni che hanno preceduto la preparazione immediata di questa iniziativa abbiamo incontrato circa 250 persone che animeranno gli incontri: laici, donne e uomini, giovani, invitate dai parroci stessi, anche persone che non sono solite frequentare la parrocchia. È stato molto bello e loro si sono messe a disposizione per organizzare, concretizzare, aiutare la comunità. Penso che sia qualcosa che indica il coraggio di non delegare tutto al parroco, di non pensare che debba fare tutto lui, ma di mettersi nella prospettiva di essere anche un po’ protagonisti della vita di comunità».