Fa un po’ pena quel tale che è definito infedele, cattivo e buono a nulla… al contrario degli altri due, che trafficano i talenti ricevuti e sono capaci di raddoppiarli. Precisiamo intanto che la parabola non intende incentivare l’azzardo e neanche l’accumulo delle ricchezze. Non ha niente a che vedere con il gioco in borsa. I talenti della parabola non sono soldi né capitali e neanche riguardano quelle doti promettenti, come quando si dice di un musicista o di un calciatore “di talento”.
I talenti di Gesù sono compiti e responsabilità. Ne sono affidati a ognuno e ad ognuno è chiesto di giocarseli bene, mettendoci impegno, facendone lo scopo della vita. La parabola va via liscia coi primi due personaggi che hanno successo, invece concentra tutta l’attenzione sul terzo che ha sotterrato in una buca il talento unico e viene definito cattivo e infedele, pigro, insomma un buono a nulla. È chiaro che scopo della parabola è di concentrare l’attenzione su quest’ultimo. È chiaro anche che la chiave di interpretazione è il colloquio che avviene tra lui e il padrone.
Questo servo ha una pessima idea del suo padrone: è «un uomo duro, che miete dove non ha seminato»… E se questo padrone fosse Dio, una simile idea di Dio ingenera paura di lui e di tutti. Magari quel tale è uno che stato emarginato, bullizzato. È stato considerato una nullità. Perciò ha finito col badare solo a sé stesso e a evitare di avere fastidi… a fare il meno possibile per non aver grane.
Invece Dio ha un animo grande. È benevolo. Il Dio di Gesù è magnanimo e gratuito. Dio gode della gioia dei suoi figli, ha stima di loro e li associa nella costruzione del suo Regno. Colui che non intende correre rischi e ha messo al sicuro il talento, può ridare al padrone quanto ha ricevuto ritenendosi così sdebitato.
È sbagliato obbedire a Dio come a un padrone pieno di pretese, come sono spesso i padroni di questo mondo, e mettere al posto di un rapporto di amore e di stima reciproca, un’obbedienza gretta. Dio non merita questo! Dio non è così!
Forse c’è qualche cristiano che risente di un’educazione ricevuta, e di una religiosità più imposta che amata, in termini più di giudizio e di castigo, di paura invece che di santo timore e rispetto. Speriamo non sia così, altrimenti bisogna correggere subito tale sensazione.
Dio ama sempre tutti, senza calcoli. Allo stesso modo i suoi figli, se capiscono il Padre, impegnano la loro vita e i loro talenti senza calcolo, senza paura, anche rischiando in iniziative nuove… dato che la nostra epoca chiede di percorrere strade nuove e diverse rispetto al passato.
All’opposto dell’uomo bloccato dalla paura, il seguace del Vangelo oggi è chiamato a virtù come il coraggio, la generosità, la libertà di scelta, lo spirito di iniziativa… Dio desidera che i suoi figli amino le responsabilità loro affidate, si aprano a prospettive nuove e non rifiutino per paura occasioni loro offerte. Matteo si rivolgeva, al suo tempo, a comunità intorpidite e poco intraprendenti nella fede, rinunciatarie e paurose di fronte alle proposte evangeliche.
Probabilmente l’uomo che ha trovato disapprovazione non è uno che non compia opere buone. Forse somiglia all’uomo conservatore e dimissionario, pauroso di fronte a ogni rinnovamento dettato dalle esigenze del Vangelo e dell’epoca attuale.