Un racconto dalle giornate di sinodalità per i presbiteri

Il gusto delle briciole

Cavallino, 23-27 aprile 2018

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Erano 34 i preti presenti alla Settimana residenziale del clero diocesano tenutasi al Cavallino dalla serata del 23 al primo pomeriggio di lunedì 27 aprile, sul tema «Il gusto delle briciole. Gesù e la donna sirofenicia» (Mc 7,24-30). Un’icona, scritta apposta per i partecipanti alla settimana da suor Elena Manganelli, monaca agostiniana a Pennabilli (RN), è stata il riferimento visivo e simbolico. La notizia della morte di don Antonio Perotto ha raggiunto i confratelli appena radunati e la preghiera e il ricordo per lui ha accompagnato tutte le giornate.

Nel corso dei giorni, i presbiteri hanno potuto incontrare la teologa Lucia Vantini, che ha offerto una sapiente e stimolante esegesi narrativa del brano di vangelo scelto come guida dell’incontro; l’attore professionista Stefano Fregni ha attivato un gioco di ruolo, che ha interessato i presenti, sulla necessità di uscire dai propri schemi per affrontare l’ignoto; un team di cuochi e sommelier hanno parlato del pane e del vino, in un’esperienza di degustazione che si è insinuata anche nella presentazione offertoriale della Messa concelebrata. Il clima sereno e cordiale tra i partecipanti, aiutati anche dal meteo eccellente, quasi estivo, ha contrassegnato in positivo l’esperienza, proposta al presbiterio diocesano per la seconda volta in questa formula. Preparati e condotti con molta attenzione alla metodologia e alla tempistica i lavori di gruppo.

Dal coraggio al gusto

In cinque punti l’intervento conclusivo alla settimana da parte del vescovo Renato. Le «briciole» (il riferimento è ancora al brano evangelico e alla risposta a Gesù della donna sirofenicia) chiedono un certo coraggio: quello di saper portare il gusto del pane, al di là della quantità che se ne ha a disposizione o che verrà richiesta: «A noi sta a cuore portare il gusto del pane – sono le parole del Vescovo – Forse è possibile in quelle briciole. È una Chiesa che eccede, ma non nella modalità della forza che si impone, del privilegio che dà le precedenze… Si vivrà un tempo con queste caratteristiche».

L’incontro di Gesù con la donna sirofenicia è questione però non solo di briciole da condividere, ma di relazione: e anche questo atteggiamento, come il precedente, richiede coraggio, come è stato quello di Gesù nel saper relazionarsi con una donna pagana e straniera. Ecco il commento del Vescovo al proposito: «La donna sirofenicia, ho l’impressione che sarà possibile che ci raggiunga, e per noi incontrarla, se abbiamo il coraggio delle “terre straniere”. Ne abbiamo molte, anche vicine, presso le nostre parrocchie. Lo sono i giovani, tante persone che non possono più incontrarci nelle nostre proposte standardizzate… C’è un “elementare della vita” che la fede richiede… Una “pastorale di generazione” è ben rappresentata da come Gesù sa corrispondere all’accedere a lui della donna siro-fenicia… Una terra straniera lo è anche un certo modo di impostare la vita delle nostre comunità: con i Consigli pastorali, con il coraggio di far emergere le persone per quello che sono…». L’attenzione del Vescovo è sulla “terra straniera” dei giovani e con loro su tutti quelli che non possono più incontrare la Chiesa nelle proposte tradizionali. La «pastorale di relazione» diventa nelle parole del vescovo la «pastorale di generazione». Non manca l’accenno ai Consigli pastorali, che in questi giorni stanno ultimando la loro conformazione.

Nel terzo punto, dal coraggio si passa alla percezione del gusto, che non è una virtù, ma una sensibilità. Dal vescovo è stato proposto «il gusto del presbiterio»: una percezione immediata che porta ad avvertire le dinamiche sane della vita comunitaria e comune dei presbiteri. A questo si collega molto strettamente il quarto punto, che chiede di poter abitare e frequentare insieme il Vangelo. «Che sarebbe – si è chiesto il Vescovo – un presbiterio senza Vangelo?».

L’ultimo punto ha toccato la liturgia e in particolare la celebrazione dell’Eucaristia, che molte volte si riduce a «cosa da fare», da «sacramento da celebrare» come dovrebbe in realtà essere. Diretta e facilmente applicabile la proposta del Vescovo sull’argomento: «Perché non estendere di più anche la comunione al calice? L’Eucaristia è “sovversiva” per come ce l’ha consegnata Gesù!». Le parole della consacrazione dicono infatti, e sono «la parola di Gesù consegnateci come la cosa più bella che possiamo tenere di lui: Prendete e mangiate… Prendete e bevete…».

Minoranza, non setta

Inoltre, nelle parole conclusive del vescovo Renato sono state due le citazioni; la prima è da Christoph Theobald: «L’essere minoranza e l’estrema fragilità di molte comunità cristiane, le sollecitano queste stesse a convertire la propria immagine, senza però rassegnarsi a diventare delle “sette” e a perdere la passione evangelica per tutti. Soltanto una lettura attenta dei vangeli e la riscoperta del ministero del Galileo può aiutarci a oltrepassare questa “soglia” gigantesca. È questa la vera possibilità per il vangelo: la difficoltà e la promessa di generare in modo riuscito la libertà dei credenti, capaci di progettare il futuro». La capacità di interessarsi a tutti è inversamente proporzionale all’equivalenza tra Chiesa e società, propria di alcuni decenni passati; la situazione di minoranza in cui la Chiesa si trova oggi ha però come rischio quella dell’insinuarsi delle dinamiche settarie all’interno della comunità, quelle dinamiche che dividono in due, con tagli netti, il mondo: chi fa parte della comunità e chi no.

Il Vescovo ha concluso poi citando lo scritto di fra Paolo (uno dei monaci di Tibhirine) pochi giorni prima di essere ucciso in odio alla fede: «Che cosa resterà della Chiesa in Algeria fra qualche mese, della sua visibilità, delle sue strutture e delle persone che la compongono? Con tutta probabilità, ben poco. Ma credo che il Vangelo è seminato e che il grano germoglierà. Lo Spirito lavora nel profondo del cuore degli uomini. Continuiamo a essere disponibili perché possa agire in noi per mezzo della preghiera e la presenza amabile di tutti i nostri fratelli».

Giuseppe Bratti