I have a dream: comincia con queste parole immortali il discorso che Martin Luther King pronunciò il 28 agosto 1963 a Washington, affidando alla folla alcuni tratti di una società statunitense rinnovata, in cui tutti potessero sentirsi a casa. Non chiedeva chissà quale rivoluzione, chissà quali beni, chissà quale concessione: solo un radicale cambiamento di mentalità e il riconoscimento dell’umanità delle persone a prescindere dal colore della loro pelle.
Anche Gesù affida il suo sogno ai discepoli che lo ascoltano: anche a loro, suggerisce un netto cambio di prospettiva, una conversione del cuore. La questione è intrigante anche per noi, anche noi ci sentiamo punzecchiati dalle sue parole: è esperienza di ciascuno e ciascuna di noi la fatica di stare nelle relazioni in cui non veniamo trattati come vorremmo, nelle relazioni in cui l’altro – magari dopo un gesto gentile – ci risponde con uno schiaffo. Spesso la violenza che subiamo o che agiamo non è fisica, ma tocca i nostri affetti, i nostri sentimenti, la nostra identità più profonda di amici, di fratelli o sorelle, di sposi, di persone vicine.
È la vicenda – tra gli altri – di Davide, che dopo aver servito Saul con fedeltà, si trova inseguito e perseguitato per invidia. Ma Davide non risponde alla persecuzione con la violenza; non risponde all’invidia con la cattiveria; non risponde alle angherie del vecchio Saul con un torto facilitato dalla sua forza giovanile e dalla sua furbizia. Ruba una lancia, per dimostrare che se anche ha potuto colpire, ha scelto di non farlo: è una testimonianza di libertà.
È dare un futuro diverso alle nostre vicende, tortuose e ferite. È aprire la porta alla riconciliazione, a un “di più” di vita che il Vangelo accenna e che non dobbiamo solo rimandare in un futuro lontano, perché riguarda anche la qualità della nostra vita presente. “Come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro”: il sogno di Gesù si riassume nel riconoscere che l’altro è un essere umano come noi, un figlio o una figlia dello stesso Padre che è nei cieli, un tesoro da custodire come siamo noi.
La conversione che ci è richiesta non è semplicemente un cambio di rotta morale o uno sforzo della nostra volontà: affonda le sue radici nel cuore di Dio, nel suo essere misericordioso. Gesù può sognare che la nostra umanità si trasfiguri solo perché siamo stati amati, siamo stati destinatari di misericordia. Solo perché Dio non fa preferenze, solo perché Dio ci tratta come vorremmo essere trattati – anche dall’alto della croce su cui lo abbiamo inchiodato perché troppo scomodo e troppo diverso dal Dio potente che abbiamo in testa! –, solo perché Dio ci ama “di più”, possiamo amare di più.
La poetessa Mariangela Gualtieri, in un suo scritto, ci affida parole che ci toccano, perché smascherano il nostro desiderio; forse ci aiutano a prendere consapevolezza di come Dio agisce con noi e spalancano la possibilità di una vita diversa, di un amore più pieno, di un nuovo modo di essere con gli altri:
«Sii dolce con me. Sii gentile. È breve il tempo che resta. Poi saremo scie luminosissime. E quanta nostalgia avremo dell’umano. Come ora ne abbiamo dell’infinità. […] Sii dolce con me. Maneggiami con cura. Abbi la cautela dei cristalli con me e anche con te. Quello che siamo è prezioso più dell’opera blindata nei sotterranei e affettivo e fragile. La vita ha bisogno di un corpo per essere e tu sii dolce con ogni corpo. Tocca leggermente, leggermente poggia il tuo piede e abbi cura di ogni meccanismo di volo di ogni guizzo e volteggio e maturazione e radice e scorrere d’acqua e scatto e becchettio e schiudersi o svanire di foglie fino al fenomeno della fioritura […] Ringraziamo. Ogni tanto».
È il sogno di Dio. È la nostra felicità.