Quarta domenica di Quaresima

Siamo tutti a rischio di cecità

a cura di don Renato De Vido

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Prima di arrivare alla luce, quanta foschia! Le idee sembrano accavallarsi, le opinioni scontrarsi, e il risultato è la nebbia totale. È una pagina evangelica piena di incertezze e polemiche, di dubbi e di scoperte consolanti.

Ma quando Gesù riprende in mano la situazione si possono scorgere con nitidezza alcuni dati precisi: lui ha guarito un uomo cieco dalla nascita – gli oppositori di sono interrogati a fondo su di lui – il miracolato ha scoperto l’identità di Cristo. È questo che vuole ricordarci la quarta tappa di quaresima, cioè, come dicevano gli antichi, “la domenica degli illuminati”.

1. Può sempre sembrare semplicistico dire che Dio è luce e noi siamo tenebre; oppure una cosa infantile dipingere il percorso della fede come un cammino che conduce fuori dall’oscurità. Ragionando sottilmente, anzi, si può dire esattamente il contrario: Dio è oscurità, e noi siamo chiarezza. È più facile esaminare l’uomo nella sua concreta realtà visibile e palpabile che non disquisire su Dio che è invisibile, misterioso, perfino strano. Noi siamo circondati da cose certe, documentate; il Signore è abbastanza impalpabile, distante.

Quante volte caschiamo in simile capovolgimento di prospettiva, e quanto volentieri la mentalità corrente distribuisce a tutte le generazioni queste pillole di materialismo!

Dunque, siamo tutti a rischio di cecità.

2. Sotto quali forme si manifesta il rischio, e quali sono le manifestazioni principali che toccano la vita dei credenti? La disgrazia più grande è l’incredulità. Quella toglie veramente ogni possibilità di leggere la realtà. Lo si nota, per esempio, parlando dell’origine del mondo: l’incredulo non arriva ad ammettere che soltanto una mente intelligente può avere avviato il motore dell’universo, e che non può essere il caso ad avere creato la molteplicità delle specie viventi.

Ma c’è anche l’incredulità di chi non accoglie dentro di sé il Dio presentatoci dalla Bibbia, ma si forgia un Dio a suo uso e consumo; non si apre alla ricerca dei connotati divini che Gesù ha, e che Gesù dice di suo Padre, ma si tiene le sue idee. Più che idee, sono pregiudizi o sensazioni, come quella che Dio sia un giudice assetato di vendetta verso il peccatore; oppure che faccia a posta a farci tribolare moralmente e materialmente in mezzo alle prove.

Insomma. Non è veramente credente neanche colui che prima si costruisce un certo Dio nella sua testa, e poi fa il confronto con quello che gli propone la Chiesa.

3. La luce della fede, allora, è luce quando impegna ogni uomo a mantenere aperta la mente alla rivelazione che il Signore ha fatto e continua a fare di se stesso. Mettiamoci pure nei panni di quel cieco che deve andare a lavarsi gli occhi impiastricciati di fango: che viaggio, che speranze, anche che umiliazioni dai passanti! Ma è stato obbediente nel mettersi in cammino. La persona di Cristo valeva di più, molto di più dei gesti che stava facendo per obbedienza.

Non illudiamoci che il Signore faccia tutto, capricciosamente da solo nei nostri confronti. Vuole una qualche collaborazione nostra, se non altro quella di affidarsi alla sua parola. Sarà tanta o sarà poca che la luce che ne acquistiamo, ma intanto abbiamo cooperato.

Siamo un po’ meno ciechi.

don Renato De Vido