La ‘‘calcolosi’’ non è buon criterio nel misurare la pastorale
Introducendo l’incontro con il presbiterio, il vescovo Renato ha presentato il suo collega Erio Castellucci, oggi guida delle diocesi di Modena e Carpi, ricordando il decisivo ruolo da lui tenuto nel Cammino sinodale fin dal 2021. Questo «ci ha fatto passare momenti belli, ma anche momenti difficili. Ma il cammino sinodale è stato una promessa anche per noi».
Castellucci ha ripercorso innanzitutto la visione del ministero cristiano, richiamando l’immagine di Paolo che «piega il linguaggio sacrale del culto al linguaggio missionario». Nel Nuovo Testamento – ha osservato – il ministero non crea distanza dal popolo: il ministro non si separa dal popolo, come il sacerdote dell’Antico Testamento, ma si immerge nella vita concreta.
Inoltre ha ricordato come il Concilio Vaticano II abbia restituito centralità al sacerdozio battesimale e all’idea che il pastore si santifichi proprio nell’esercizio quotidiano del ministero.
Guardando alla situazione attuale, Castellucci ha richiamato il «cambiamento d’epoca» in atto e i numeri che mostrano la fatica della Chiesa in Italia. La crisi, però, non è un’anomalia: «Il mondo intero è in crisi per tanti motivi» e la Chiesa non può esserne dispensata. A volte, sulle nostre crisi pesa la mancanza di gratificazione, la distanza tra ciò che i preti desiderano offrire alla loro comunità e ciò che spesso viene loro richiesto, oltre all’ombra lasciata dai casi di abuso.
Di fronte alle difficoltà, ha suggerito, occorre evitare la tentazione della “calcolosi”. In fondo, anche Gesù ha cominciato sfamando cinquemila seguaci e ha finito la sua carriera con un solo discepolo sotto la croce. Le statistiche mettono in guardia, ma non raccontano la parte nascosta e generativa della pastorale, quella che passa nei gesti non misurabili. Conta la fedeltà semplice al Vangelo, la gratitudine verso il dono ricevuto, la capacità di lasciarsi ravvivare dallo Spirito «che soffia sulla cenere della delusione» e riporta in vista la brace ancora accesa.
Nel dialogo seguito all’intervento, diversi tra i presenti hanno richiamato la necessità di relazioni fraterne. In risposta, Castellucci ha suggerito di guardare alla comunità nello stile delle parabole del Regno; inoltre ha ricordato che i fedeli vivono la missione soprattutto nelle loro case, nei luoghi di lavoro, nella trama ordinaria delle relazioni. [DF]
«È l’ora dell’amore»
Espressione che non ci si aspetterebbe in un contesto simile ma che, in realtà, da davvero il senso di quanto vissuto martedì 2 dicembre, giornata significativa per il Presbiterio di Belluno-Feltre, mentre ci avviamo al termine di questo Anno giubilare. Dopo l’incontro vissuto al mattino presso l’aula magna del Seminario gregoriano, a seguito dello scambio seguito al contributo del vescovo Castellucci e del momento conviviale, i quasi ottanta fra preti e diaconi della nostra Chiesa diocesana hanno vissuto il centro della loro celebrazione giubilare.
Partiti in processione dal chistro rinascimentale dell’isitituto che li ha formati, si sono diretti alla volta della chiesa madre della nostra Chiesa locale, in cui molti di loro hanno detto davanti al vescovo la loro disponibilità a seguire il Signore nel ministero. È, dunque, l’ora dell’amore: le incisive parole del vescovo Renato, prese letteralmente in prestito da papa Leone, che nell’omelia inaugurale del suo servizio di vescovo di Roma, hanno ritmato il suo commento alla Parola proclamata nella solenne Eucaristia pomeridiana.
«Sì» – ha affermato don Renato parlando ai suoi preti – «penso che il Vangelo, che ci è stato donato e affidato, ci porti su questa frontiera dell’amore… In questo tempo complesso e disincantato, dove la fede stessa sembra sfumare fino a oscurarsi tra mille altri abbagli, Dio si fa inaspettato, imprevedibile, inedito. Può essere l’ora del suo amore!». L’esperienza di san Paolo, risuonata dall’ambone rinnovato, risulta davvero paradigmatica: ad un fortissimo impegno di evangelizzazione e di elaborazione teologica non è estranea all’apostolo l’attenzione concreta ad una persona, Filemone, in cui si manifesta la sorpendente azione di Dio che smuove il nucleo della sua esistenza. Una scoperta sperimentata, guarda caso, proprio nella fatica della tarda età.
Così, facendo eco a quanto emerso nella mattinata, la paura di perdere significanza e terreno, può diventare occasione per vivere, davvero, la chiamata a quest’ora dell’amore. Sempre una sorpresa. Ha continuato il Vescovo a commento della pagina evanagelica: «Chiamati da Gesù attorno alla Parola di Dio che lui stesso insegna, dalle nostre «barche accostate alla sponda», inizia una non programmata e insolita gettata di reti, prendendo il largo. Si tratta ancora dell’ora dell’amore che può venire inaspettata dopo di aver faticato tutta la notte e non aver preso nulla. Un piccolo “Giubileo della speranza” in cui lasciarci andare, anche a fine corsa, dopo un’inconcludente faticata che impegna per un lungo tempo di veglia e azione».
Le parole, risuonate sotto le volte della Cattedrale di san Martino, hanno intercettato l’ascolto non solo dei molti presbiteri presenti, fra cui il vescovo emerito Andrich, ma sono state volutamente indirizzate ai confratelli indisposti, assenti ed infermi, in modo particolare quelli ospiti presso Casa Kolbe di Pedavena.
Alla celebrazione ha preso parte anche una rappresentaza di fedeli laici a nome di tutto il popolo di Dio: sono stati un segno concreto delle comunità cristiane della nostra Chiesa particolare in cui i preti, anche se sempre meno e con i capelli sempre più bianchi, esercitano il loro ministero di vicinanza e di annuncio della Buona Notizia. È l’ora dell’amore, anche qui, anche adesso: è questo l’auspicio e l’augurio che diventa gratitudine per il servizio dei nostri preti.
Roberto De Nardin




























