2a domenica dopo Natale - anno B

La luce di Dio: ragione e cuore

a cura di don Giorgio Aresi

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Kant avrà avuto anche qualche difetto, potrà risultare un po’ insopportabile con la sua precisione (dicono che i vicini di casa regolassero gli orologi sulle sue uscite quotidiane sempre puntuali), e si può pensare quasi tutto di quest’uomo che ha dato da soffrire a qualche studente, ma non si può negare che fosse tutto tranne che banale. E queste sue parole lo dimostrano: «Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza È tanto comodo essere minorenni! Se ho un libro che pensa per me, un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che decide per me sulla dieta che mi conviene, ecc., io non ho più bisogno di darmi pensiero per me. Purché io sia in grado di pagare, non ho bisogno dì pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione» (I.Kant, Risposta alla domanda che cos’è l’Illuminismo).

Sembrano parole scritte oggi, non nel 1700, eppure hanno ancora una verità disarmante, che ci rivela la grandezza dell’uomo. Non c’è nessuno come l’uomo che abbia la capacità di “pensare” (il coraggio dell’intelligenza), e questo vuol dire di chiedersi il “perché” delle cose. Il cuore dell’uomo è sempre una domanda aperta sul mondo, sulla vita, sulla storia. Ma allora, se ognuno di noi è una “domanda”, la risposta dove la troviamo?

La Parola di questa domenica, apre a capire. Nella Prima Lettura il libro sapienziale del Siracide si legge: La sapienza fa il proprio elogio […] Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno. (Sir. 24,1.9). C’è una “Parola” (un logos, un senso) che è all’origine di tutto. E questo nonostante oggi si sia arrivati a dire che non c’è più una Verità, ma ognuno ha la sua verità (siamo nell’epoca della post-verità, dicono). E tuttavia rimane sempre una strada facile: ognuno cerca e ha la sua verità, che è quella – oggi forse più che in altri tempi – dell’“esperto di turno” (un po’ come diceva quella buon’anima di Kant).

«In ogni settore della vita, personale e comunitaria, cerchiamo la voce di un esperto: in economia, in politica, in medicina, nell’arte e negli affetti. Apprezziamo la cultura e la scienza di chi ne sa di più.» (La Sapienza di Dio ispira la felicità, In Dialogo, Mi 2020, p.25). Eppure la sapienza del Siracide ci riporta ad una certezza. Per quanto ognuno di noi possa dare, come è ovvio e normale, una propria direzione alla vita, credere in ciò che ritiene giusto, avere un proprio cammino di vita, è pur vero che senza una verità ultima che sta all’origine di tutto, che dischiude il senso più intimo dell’umano vivere, dagli affetti, al lavoro, al tempo che scorre, la nostra vita non sarebbe altro che una somma di istanti, di vissuti e di attimi consumati e abbandonati ad un passato che non tornerà mai più, ad un presente che continuamente ci sfugge e ad un futuro che non avrà nessun fine, se non la morte e la fine di tutto.

E dunque, qual è questa verità della nostra vita? Dove cercare il senso stesso dell’uomo, del mondo, della storia? La risposta ci arriva dal Vangelo, dall’inizio non facile dell’evangelista Giovanni.

Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto (Gv. 1,9-10)

Quella “luce” che ti apre gli occhi, che ti rivela il senso di tutto non è una teoria, un pensiero, un sistema filosofico per quanto ineccepibilmente logico e raffinato. No il senso di tutto è la luce di un fatto reale: la nascita di Gesù Cristo, nato da una vergine di nome Maria.

Come ci ricorda il Papa emerito Benedetto XVI: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Benedetto XVI, Deus Caritas est, 1).

Per un cristiano il senso della vita è riconoscere in quel bambino nato da Maria Dio stesso. E ancora Giovanni ci dischiude la bellezza di un cuore aperto a riconoscere questo:

Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. (Gv. 1,17)

Riconoscere in Cristo la Grazia e la Verità vuol dire vedere che Dio tocca il cuore (la grazia) e dà senso a tutto (la verità). Più di così, cosa si può desiderare?