Un articolo di Piergiorgio Gawronski su L’Osservatore Romano dello scorso 22 febbraio 2021 presenta nel suo argomentare una serie di riflessioni indicate come “possibili rimedi contro la secolarizzazione”. Il titolo dell’articolo era “Le chiese vuote e l’Umanesimo integrale”.
Analisi sociologica
La prima parte del testo proposto presenta una lettura del fenomeno della secolarizzazione. Lo fa analizzando la situazione nella prospettiva geografica europea e poi in relazione alla realtà giovanile. Ci si deve rassegnare alla conclusione che l’uomo moderno non ha più bisogno di Dio e della religione? I giovani invece sembrano dare chiari segni di fame di infinito, di bellezza, di Dio. Essi si interrogano sulle domande esistenziali: chi sono, da dove vengono, dove vanno. Che senso hanno l’impegno, il dolore, l’amore. Di fronte a queste domande cercano relazioni forti con gli adulti e non solo, ma anche con il mistero. Eventi ecclesiali significativi hanno manifestato queste esigenze e dato segni forti della esigenza di risposte a queste esigenze. Di fronte a questa realtà della secolarizzazione l’articolista si pone la domanda: «Quali dunque i possibili rimedi contro la secolarizzazione?».
La “fotografia” della prima Chiesa di Gerusalemme
La “fotografia” della prima chiesa di Gerusalemme come ci viene presentata negli Atti degli Apostoli (2, 42-47) ci può essere di aiuto. Riporto il testo alla lettera per un riferimento puntuale che l’articolista dà per scontato. Scrive il testo biblico nel brano citato: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati».
Da questo testo viene testimoniata una realtà esistenziale comunitaria che si caratterizza con quattro atteggiamenti. Vengono così schematizzati. Prima di tutto viene citata la trasmissione del messaggio di Cristo. Viene poi indicata la unione fraterna come stare e mangiare insieme. Quindi si ricorda il condividere i beni materiali «secondo il bisogno di ciascuno», infine viene ricordata l’Eucaristia, il frequentare insieme il tempio. Queste quattro esperienze della Chiesa dell’inizio possiamo verificare se ancora oggi caratterizzino la comunità cristiana, oppure se sia necessario un grande recupero di questo modo di vivere. Non si tratta solo della scelta di stile personale, ma di una traduzione nel contesto comunitario. L’articolista legge la realtà attuale e la misura con quella che era la esperienza della prima comunità cristiana. Si vede nella Messa domenicale il centro della esperienza comunitaria delle Chiese moderne.
L’oggi delle comunità cristiane moderne
La trasmissione del messaggio di Cristo nella piena fedeltà di contenuto è un dato assodato. Quando si passa alla seconda caratteristica si nota, purtroppo, come ci sia oggi una forte carenza di relazioni umane. Nella riflessione viene chiamata “amicizia a priori”. C’era la condivisione della fede e anche della sua incarnazione quotidiana nel vissuto reale di ognuno. Non sembra che questo oggi caratterizzi le nostre comunità nella loro globalità. Non in molti casi il condividere la stessa fede in Cristo, e la relativa salvezza diventa criterio di amicizia tra le persone. Possiamo verificare i risultati in questa prospettiva del vivere insieme la Messa. Ci si può chiedere quanto il partecipare alla stessa Eucaristia, nata dalla stessa fede in Cristo, guidi le nostre relazioni durante e dopo la celebrazione. Afferma l’articolista con una forte espressione che riporto alla lettera: «Nelle odierne messe domenicali, invece, partecipano per la maggior parte sconosciuti che resteranno sempre tali». Gli stessi scambi dialettici fuori della Messa hanno generalmente il fondamento in altri tipi di conoscenze e di relazioni. Raramente è la stessa fede in Cristo che genera e alimenta l’amicizia e la relazione tra persone. Ci si può chiedere anche come chi arriva “forestiero” alle nostre celebrazioni venga accolto e si senta partecipe, non solo ospite, se non quasi intruso. Ci sono sicuramente eccezioni. Pensiamo nei nostri paesi, a vocazione turistica, dove il “fratello nella fede” si sente accolto e di casa, non solo per la fedeltà della presenza annuale. La condivisione dei beni nelle Chiese moderne è talora di difficile applicazione. L’atteggiamento caratteristico nel recente passato delle nostre comunità, oggi è molto ridotto e applicato solo per emergenze o con tratti minimalisti. È l’atteggiamento di amore che caratterizza l’azione di condivisione come stile di vita. Stile che oggi sembra a molti improponibile e anche di difficile applicazione,
Il punto del “pregare insieme” viene visto in modo altrettanto critico. Si è fisicamente insieme, ma spesso si prega da soli. Viene a mancare la socializzazione nell’insieme della vita per cui poi è difficile, se non impossibile, realizzarla nel rito religioso. Questo sembra essere un messaggio che viene dalla disaffezione manifestata dai giovani nei confronti del rito comunitario domenicale.
Necessità di creare relazioni
Nel recuperare le proposte contenute nella fotografia delle prime comunità cristiane viene indicata una strada percorribile e da percorrere. È La strada delle relazioni sociali che si manifestano, ma non si esauriscono, nel rito celebrativo religioso. Chiude l’articolista: «I cristiani hanno bisogno di esplorare, riflettere e parlare fra loro del loro essere cristiani».
Giuliano Follin
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