Il funerale di don Gabriele Bernardi, celebrato a Santa Maria delle Grazie lunedì 2 giugno, sarà ricordato per il vento: durante le esequie, celebrate all’esterno per il Covid, il vento ha continuato a soffiare… e don Gabriele è morto il giorno di Pentecoste, un giorno simboleggiato dal Vento. è stato, don Gabriele, «vento gagliardo» per Gerusalemme e per la Terrasanta?
Risponde monsignor Pizzaballa: «In un certo senso sì. Don Gabriele è stato una presenza positiva ma mai scontata. Don Gabriele aveva idee molto chiare; pungente e stimolante; non amava chi si sedeva; e a Gerusalemme, che è la terra dello status quo, del si è sempre fatto così, specie al Santo Sepolcro, la sua presenza costringeva a ripensarti; e questo è dono dello Spirito».
Don Gabriele era in servizio al Santo Sepolcro. Era solito dire, d’altro canto, che quello è il luogo in cui Gesù non c’è, perché è Risorto… in effetti al Santo Sepolcro si toccano con mano quelle divisioni tra cristiani che manifestano come l’unità tra i credenti in Cristo sia ancora lontana e quindi la volontà di Cristo sui suoi discepoli non sia realizzata. Tuttavia don Gabriele diceva pure che «se non fossimo divisi, non pregheremmo così tanto, come stiamo facendo ora al Santo Sepolcro, tutte le ore del giorno e della notte». Quale ricordo di sé ha lasciato don Gabriele al Santo Sepolcro?
«Un po’ è vero. Durante i secoli, quando non c’erano le relazioni cordiali che abbiamo oggi – oggi, tutto sommato, a parte qualche strano e spiacevole episodio, le relazioni sono cordiali – sono nate al santo Sepolcro tante liturgie per affermare il proprio attaccamento al luogo e per marcare le proprie differenze rispetto agli altri. Si sono accumulati tanti modi diversi di pregare, in lingue completamente diverse, che hanno reso il luogo molto ricco di preghiera continuata, più di notte che di giorno. È giusto che sia così. Nessuno di noi ha il monopolio della memoria della Morte e Risurrezione di Gesù: tutti assieme dobbiamo fare questa memoria. Questo è il modo ferito in cui lo facciamo, in maniera separata l’uno dall’altro, ma un modo che esprime la ricchezza della pluriforme presenza cristiana del mondo: in maniera ferita, ma completa. Questo è quello che intendeva don Gabriele».
Degli ebrei ortodossi don Gabriele aveva stima: «tra di loro ci sono dei santi», diceva. Dei musulmani che aveva incontrato e conosciuto aveva pure stima. Che cosa lascia lo stile di don Gabriele nei rapporti, sempre più stretti, tra cristiani, ebrei e musulmani?
«Lascia un insegnamento importante, che chi vive a Gerusalemme percepisce molto bene. Se mettiamo la politica da parte, l’incontro con le persone, l’incontro con i credenti soprattutto, cioè con chi ha una forte coscienza della presenza di Dio nella propria vita, crea relazioni stupende: con persone, cioè, che pur vivendo realtà religiose del tutto diverse, trovano un background comune nel senso della presenza di Dio, nella Rivelazione, nella Provvidenza, e nel bisogno di trasmettere questa presenza. Stando a Gerusalemme, si incontrano davvero tante persone che vivono con serenità la loro fede e non hanno paura dell’incontro con l’altro; questo è il vero dialogo interreligioso. Don Gabriele era critico nei confronti degli incontri istituzionali, ma difendeva l’incontro con le persone».
Tagliente il giudizio di don Gabriele sulle «chiese vuote, non solo di fedeli» della sua diocesi e non solo. Eppure era un uomo di speranza, che trasmetteva la sicurezza di aver incontrato il Signore Gesù e di aspettarLo…
«Sì: stiamo parlando di un uomo che non amava i compromessi, molto chiaro anche con se stesso. Voleva che la sua Chiesa, vivesse con la stessa radicalità che voleva vivere lui. Questo gli ha creato sia stima che qualche tensione. Quando si cammina in gruppo, chi detta il ritmo del cammino non è il primo, ma è l’ultimo; lui su questo faceva un po’ fatica. Era visionario, nel senso che voleva vedere le realtà ultime, e impaziente. Pungente sì, ma lucido: vedeva e capiva che stiamo vivendo tempi di grandi cambiamenti, che la Chiesa di oggi non è quella di quarant’anni fa, che le Chiese si svuotano… e si svuotano perché i fedeli non trovano, magari, contenuto nelle chiese. Detto questo, don Gabriele era uomo fedele, obbediente e, soprattutto negli incontri personali, sapeva interagire con le persone, dando loro fiducia. Qui a Gerusalemme uno dei servizi più importanti che don Gabriele ha svolto è stato quello della direzione spirituale: si rivolgevano a lui studenti in formazione, seminaristi, giovani che avevano perso la strada, religiosi e religiose. La speranza per lui si esprimeva in questa realtà».
Quale ricordo l’arcivescovo Pizzaballa ha di don Gabriele? Quale ricordo affiderebbe ai suoi confratelli sacerdoti, ai cristiani che lo hanno avuto come parroco, alla Chiesa italiana?
«Due cose: don Gabriele era un uomo che pregava. Ricordo quando avevamo pensato di riformare la liturgia al Santo Sepolcro; la sua preoccupazione principale era che non venisse meno il tempo dedicato alla preghiera. ‘‘Fate tutte le riforme che volete – diceva – basta che resti il nostro compito, che è quello di pregare e di intercedere’’. La seconda cosa: non sedersi. Don Gabriele metteva in discussione, ma sapeva mettersi in discussione. Questi due aspetti fanno una sintesi mirabile: una persona che ha il senso di Dio».
don Giuseppe Bratti
Intervista completa su www.amicodelpopolo.it/2020/07/10/da-gerusalemme-mons-pizzaballa-ricorda-don-gabriele-bernardi/ o su https://youtu.be/pcyvHeWFDjE