Lo stile celebrativo guida la assemblea

L’arte del celebrare

Riguarda tutta l’assemblea che celebra, ma i ministri ordinati devono avere una particolare cura per essa

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La lettera apostolica di Papa Francesco “Desiderium desideravi” nel capitolo intitolato “ars celebrandi”, dopo aver presentato lo stile celebrativo di tutta la assemblea liturgica, si sofferma a evidenziare la responsabilità di coloro che, ministri ordinati, hanno una particolare missione, un particolare compito.

La responsabilità dei ministri ordinati

Al numero 54 il Papa afferma: «Se è vero che l’ars celebrandi riguarda tutta l’assemblea che celebra, è altrettanto vero che i ministri ordinati devono avere per essa una particolare cura». Questa responsabilità coinvolge chi è chiamato a presiedere l’assemblea. Il documento presenta con parole forti alcuni stili di presidenza che condizionano l’assemblea. Una “fotografia” con la quale sono chiamati a una verifica in particolare i ministri sacri. Anche i fedeli però sono responsabili di una collaborazione che si traduce in apprezzamento o in correzione fraterna.

«Nel visitare le comunità cristiane ho spesso notato che il loro modo di vivere la celebrazione è condizionato – nel bene e, purtroppo, anche nel male – da come il loro parroco presiede l’assemblea. Potremmo dire che vi sono diversi “modelli” di presidenza. Ecco un possibile elenco di atteggiamenti che, pur essendo tra loro opposti, caratterizzano la presidenza in modo certamente inadeguato: rigidità austera o creatività esasperata; misticismo spiritualizzante o funzionalismo pratico; sbrigatività frettolosa o lentezza enfatizzata; sciatta trascuratezza o eccessiva ricercatezza; sovrabbondante affabilità o impassibilità ieratica. Pur nell’ampiezza di questa gamma, penso che l’inadeguatezza di questi modelli abbia una comune radice: un esasperato personalismo dello stile celebrativo che, a volte, esprime una mal celata mania di protagonismo» (DD 54).

Il Papa riconosce che non sono gli atteggiamenti più diffusi, ma che ci sono. Le forme di presidenza e di conduzione della celebrazione sopra ricordati il documento afferma che sono “maltrattamenti”. Se le parole del Papa invitano chi presiede a una verifica, nello stesso tempo invita i fedeli a un controllo su quale stile di presidenza essi manifestano la loro preferenza, il loro apprezzamento.

Il presbitero celebrante

«Perché questo servizio (di presidenza) venga fatto bene – con arte, appunto – è di fondamentale importanza che il presbitero abbia anzitutto una viva coscienza di essere, per misericordia, una particolare presenza del Risorto. Il ministro ordinato è egli stesso una delle modalità di presenza del Signore che rendono l’assemblea cristiana unica, diversa da ogni altra (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 7). Questo fatto dà spessore “sacramentale” – in senso ampio – a tutti i gesti e le parole di chi presiede. L’assemblea ha diritto di poter sentire in quei gesti e in quelle parole il desiderio che il Signore ha, oggi come nell’ultima Cena, di continuare a mangiare la Pasqua con noi. Il Risorto è, dunque, il protagonista, non lo sono di sicuro le nostre immaturità che cercano, assumendo un ruolo e un atteggiamento, una presentabilità che non possono avere. Il presbitero stesso è sopraffatto da questo desiderio di comunione che il Signore ha verso ciascuno: è come se fosse posto in mezzo tra il cuore ardente d’amore di Gesù e il cuore di ogni fedele, l’oggetto del suo amore. Presiedere l’Eucaristia è stare immersi nella fornace dell’amore di Dio. Quando ci viene dato di comprendere, o anche solo di intuire, questa realtà, non abbiamo di certo più bisogno di un direttorio che ci imponga un comportamento adeguato. Se di questo abbiamo bisogno è per la durezza del nostro cuore. La norma più alta, e, quindi, più impegnativa, è la realtà stessa della celebrazione eucaristica che seleziona parole, gesti, sentimenti, facendoci comprendere se sono o meno adeguati al compito che devono svolgere. È evidente che anche questo non si improvvisa: è un’arte, chiede al presbitero applicazione, vale a dire una frequentazione assidua del fuoco di amore che il Signore è venuto a portare sulla terra (cfr. Lc 12,49)» (DD 57).

Le parole nella celebrazione

Anche il modo di parlare, l’“ars dicendi”, è una attenzione da tener presente nella presidenza della celebrazione. Dice il documento al N. 60:

«Le parole che la liturgia mette sulle sue labbra hanno contenuti diversi che chiedono specifiche tonalità: per l’importanza di queste parole al presbitero è chiesta una vera ars dicendi. Esse danno forma ai suoi sentimenti interiori, ora nella supplica al Padre a nome dell’assemblea, ora nell’esortazione rivolta all’assemblea, ora nell’acclamazione a una sola voce con tutta l’assemblea…».

Scopo della lettera apostolica

«Vorrei che questa lettera ci aiutasse a ravvivare lo stupore per la bellezza della verità del celebrare cristiano, a ricordare la necessità di una formazione liturgica autentica e a riconoscere l’importanza di un’arte della celebrazione che sia a servizio della verità del mistero pasquale e della partecipazione di tutti i battezzati, ciascuno con la specificità della sua vocazione. Tutta questa ricchezza non è lontana da noi: è nelle nostre chiese, nelle nostre feste cristiane, nella centralità della domenica, nella forza dei sacramenti che celebriamo. La vita cristiana è un continuo cammino di crescita: siamo chiamati a lasciarci formare con gioia e nella comunione» (DD 62).

Ai singoli cristiani e alle loro comunità il compito di vivere nell’esperienza concreta le parole di papa Francesco.

Giuliano Follin
(fine)