L’emergenza profughi dall’Afghanistan

Riflessioni del direttore di Caritas Italiana, don Francesco Soddu

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Quanto sta accadendo in Afghanistan sta sollecitando oltre misura molte realtà ecclesiali, della società civile e della politica italiana e internazionale. Da più parti, infatti, in questi giorni, si sono rincorsi appelli per avviare evacuazioni umanitarie o per aprire nuovi corridoi umanitari dall’Afghanistan, in taluni casi dedicati esclusivamente a donne e bambini.

La tragedia del popolo afghano, le immagini che ci giungono, il susseguirsi delle notizie non possono che provocare dolore e ottenere il nostro sdegno e preoccupazione. Però, al di là della comprensibile emotività che suscitano questi avvenimenti, credo sia opportuno richiamare alcuni semplici elementi di politica migratoria internazionale, per riportare il dibattito a un realismo e a una concretezza che al momento sono assenti.

Partendo dal presupposto che le vicende afghane potranno avere un effetto sui flussi migratori verso l’Europa nel medio periodo (come ricorda l’Ispi molto dipenderà non tanto dalla situazione afghana ma dai paesi in cui si stanno dirigendo in primis Iran, Pakistan e Turchia) è bene ricordare che:

– Le evacuazioni dall’Afghanistan riguarderanno 2.000/2.500 collaboratori del contingente italiano ad Herat e i loro familiari (oltre ad alcuni specifici casi). I ponti aerei, che hanno permesso sino ad oggi di trasferire in Italia 1.600 persone, saranno possibili fino a quando l’aeroporto di Kabul sarà sotto il controllo degli Usa. Le evacuazioni avvengono attraverso ponti aerei, seguendo principalmente il criterio della “collaborazione” con il contingente militare italiano (ISAF). In futuro non ci saranno le condizioni per continuare le evacuazioni in quanto l’aeroporto dovrebbe tornare a breve sotto il controllo del governo afghano che, quasi sicuramente, non consentirà a voli militari stranieri di trasferire cittadini afghani in altri paesi.

– I corridoi umanitari, molto invocati in questi giorni, sono uno strumento attivabile solo da paesi terzi e non certo dal paese di origine di chi fugge. In sostanza non è possibile trasferire dei richiedenti asilo dal loro paese perché nessun governo lo permetterebbe. Dunque l’idea di corridoi dall’Afghanistan non ha alcun senso. Diversamente i corridoi potrebbero essere attivati da paesi terzi dove sono fuggiti i cittadini afghani e più precisamente da Iran, Pakistan, Turchia o più semplicemente dai paesi che si trovano lungo la rotta balcanica, in primis la Bosnia, dove migliaia di afghani da anni cercano di raggiungere l’Europa.

– L’accoglienza di chi arriverà attraverso le evacuazioni o in futuro attraverso la rotta balcanica o via mare, non potrà essere lasciata alla buona volontà delle centinaia di persone o associazioni che stanno chiedendo di ospitare afghani, ma sarà gestita dal Ministero dell’Interno. Dunque, nonostante le innumerevoli disponibilità giunte dalle Caritas diocesane per l’accoglienza di cittadini afghani, al momento abbiamo ricevuto rassicurazioni dal Ministero dell’Interno sul fatto che i sistemi SAI e CAS possono sopperire all’esigenza di posti d’accoglienza. Quindi:

  1. Chi giungerà in Italia con i ponti aerei dell’aeronautica (collaboratori Isaf e loro familiari) viene inserito nel sistema pubblico SAI (ex Sprar) o nei Cas (Centri di Accoglienza Straordinaria). Abbiamo già ricevuto comunicazione dal Servizio Centrale affinché le nostre Caritas, inserite nel sistema Sai in convenzione con il Governo, si attivino per reperire più posti possibili (finanziati dal Governo). Stessa comunicazione è giunta dal Viminale per quanto riguarda i Cas.
  2. L’arrivo dei collaboratori Isaf prevede un periodo di dieci giorni di quarantena che al momento è sotto la gestione del Ministero della Difesa e della Protezione Civile.
  3. Chi giungerà via terra o via mare nelle prossime settimane o nei prossimi mesi si troverà ad affrontare la stessa procedura degli altri migranti ovvero richiesta di protezione internazionale e conseguente inserimento nel sistema di accoglienza internazionale. Alcune prefetture già stanno predisponendo un allargamento dei posti previsti dai bandi per far fronte ad un eventuale aumento dei flussi.

In considerazione del fatto che in Italia esiste da anni una comunità afghana inserita e attiva, qualora giungano richieste di aiuto verso i loro familiari, si suggerisce di avviare comunque le procedure di ricongiungimento familiare, al fine di provare a mettere in sicurezza le persone rimaste in Afghanistan.

Con riferimento all’attività di advocacy [ossia l’orientamento dell’opinione pubblica], Caritas Italiana continuerà a:

  1. chiedere l’attivazione di forme temporanee di protezione delle migliaia di afghani già presenti in Italia e in Europa che rischiano di essere rimandati in Afghanistan. Secondo le ultime stime, infatti, si tratta a livello europeo di 310 mila persone di cui 280 mila denegati e i restanti in attesa di asilo. Di questi sono circa 60 mila le donne afghane in Europa che hanno urgente bisogno di protezione. Iniziare a volgere lo sguardo a queste realtà sarebbe la prima cosa da fare.
  2. chiedere l’interruzione dei respingimenti in frontiera sulla rotta balcanica che ha visto molti cittadini afghani vittime delle polizie nazionali.

Vi terremo aggiornati circa l’evoluzione della vicenda e comunque per qualsiasi ulteriore informazione o chiarimento vi invito a rivolgervi all’Ufficio Politiche Migratorie e Protezione Internazionale di Caritas Italiana.