Dal 22 al 25 giugno, noi seminaristi del Triveneto abbiamo camminato insieme come pellegrini di speranza per vivere l’esperienza del Giubileo a Roma.
Il nostro pellegrinaggio è iniziato a Siena, dove ci siamo messi in ascolto della vita di santa Caterina, visitando il Santuario nella sua casa natale e la chiesa con il crocifisso davanti al quale la Santa ricevette le stimmate.
Il giorno seguente siamo arrivati a Roma e, fin da subito, ci siamo immersi in un’altra grande figura di fede: don Andrea Santoro, un sacerdote romano assassinato in Turchia nel 2006. Attraverso le parole di chi l’ha conosciuto, abbiamo potuto ascoltare la forza della sua testimonianza, nella parrocchia di Gesù di Nazareth – da lui fondata – e, poi, nella chiesa dove riposano le sue spoglie. Nel pomeriggio hanno preso il via gli eventi ufficiali del Giubileo, con la recita del Rosario e il concerto del Coro della diocesi di Roma, diretto da monsignor Frisina, nella basilica di San Paolo fuori le mura.
La mattina seguente, in processione, ci siamo mossi da via della Conciliazione fino alla Basilica di San Pietro, per varcare insieme la Porta Santa e compiendo gli altri segni propri dell’anno santo. Giunti in Basilica, ci attendeva l’incontro con papa Leone, che ha rivolto a noi seminaristi una catechesi intensa e concreta, perché ha parlato della nostra realtà quotidiana e delle sfide che ci attendono. Poi, ci siamo recati nella chiesa di Santa Maria in Vallicella, dove abbiamo approfondito la figura di san Filippo Neri – il «santo della gioia» – e il carisma dell’Oratorio da lui fondato.
Il giorno dopo, prima di ripartire, abbiamo vissuto un’occasione davvero speciale: un’udienza riservata ai seminaristi del Triveneto con papa Leone, in Vaticano. Ritrovarlo così da vicino, a poche ore dall’incontro giubilare, è stato per noi un dono prezioso. In un clima cordiale, il Papa ci ha ringraziati per il cammino che stiamo percorrendo e ci ha esortati a non temere la formazione del seminario.
Un passaggio particolarmente significativo, soprattutto per noi bellunesi, è stato quando ha citato il beato Giovanni Paolo I, definito da lui «un vero modello di vita sacerdotale», per ricordarci che nella vita si sale «uno scalino per volta».
Dunque, tanti momenti vissuti, tante cose viste e ascoltate. Ma che cosa ci è rimasto? Io ritengo che siano due le cose che, più di tutte, ci siamo portati via.
La prima è l’incontro con esempi di umanità autentica: la forza interiore di santa Caterina, il sorriso libero di san Filippo Neri e la silenziosa fedeltà di don Andrea Santoro. Umanità ferite e redente, come la nostra. In un tempo segnato da fratture interiori, chiediamo che la loro umanità ci sia vicina, ci tocchi e ci aiuti a guarire: è questo, in fondo, il significato più profondo dell’indulgenza giubilare.
La seconda è stata la possibilità di camminare insieme, fianco a fianco, con i «compagni di cordata» – come ha detto il Papa – del Triveneto. Abbiamo respirato una Chiesa più grande della nostra singola diocesi e ci siamo riconosciuti parte di un popolo in cammino. Il Papa ci ha esortati a coltivare la relazione di amicizia con Gesù e con quanti ci accompagnano nel cammino: «Non pensatevi quindi soli, e nemmeno pensatevi da soli».
Questi giorni sono serviti proprio a questo: infatti, non ci siamo sentiti soli.
Luca Magro
© Servizio Fotografico Vaticano