Il Concilio Vaticano II ci ha affidato una liturgia più dinamica, che coinvolge varie ministerialità e, soprattutto, spazi e luoghi differenti. Facciamo ancora fatica, a più di 60 anni di distanza, a entrare e vivere appieno questa logica, celebrando a volte più secondo lo stile del Concilio di Trento che di quello consegnatoci dal Vaticano II.
Tutta l’aula della chiesa, e non solo il “presbiterio”, è il luogo in cui avviene la celebrazione. In essa emergono, però, tre punti focali con ruoli e significati diversi: la sede, l’ambone e l’altare. Luoghi non a sé stanti, ma in relazione uno con l’altro e ciascuno con tutta l’assemblea. La sede e l’ambone sono stati “riscoperti” dalla riforma liturgica: presenti nell’antichità, dal Medioevo sono stati quasi dimenticati, in quanto la Messa si svolgeva solo all’altare. In questi 60 anni, quindi, c’è voluta un po’ di pratica e tante sperimentazioni per capire come meglio inserire questi luoghi in chiese costruite con altre logiche.
La sede è il luogo che, più di altri, fatica a trovare il suo posto, tra gli estremi in cui è il vertice di ogni spazio oppure non viene usata se non per sedersi. La sede, invece, è importante in quanto mostra il compito del ministero ordinato, chiamato a presiedere l’assemblea, guidarla nella preghiera, accompagnarla nel vivere l’incontro con il Signore. Il ministro presiede un’assemblea verso cui è rivolto, ha il compito di far entrare l’assemblea nella preghiera della Chiesa, per vivere effettivamente quella partecipazione piena, consapevole e attiva richiesta dal Concilio. Nella lettera Desiderio desideravi, papa Francesco dice che il modo in cui si presiede aiuta a vivere il proprio ministero: «Non siede su di un trono perché il Signore regna con l’umiltà di chi serve. Non ruba la centralità all’altare, segno di Cristo […] e centro della nostra lode e del comune rendimento di grazie».
La sede, quindi, dovrebbe essere spazialmente in rapporto con l’assemblea e con l’ambone in quanto chi presiede “sta sotto la parola”, è il primo ascoltatore della Parola proclamata, per poi nell’omelia spezzarla per i fratelli e le sorelle.
Accanto alla sede per il presbitero nella Cattedrale trova posto la Cattedra episcopale, da cui la prima prende nome. Di lì il Vescovo guida la preghiera dell’assemblea, in rapporto con essa e in ascolto della Parola. Seggio semplice e solenne al tempo stesso, non un trono, la Cattedra è elemento distintivo della Cattedrale, unica in tutta la diocesi, simbolo del compito del Vescovo, guida, pastore e maestro a servizio del suo popolo. Nella Cattedrale, chiesa madre della diocesi e microcosmo della fede di un popolo, la Cattedra simboleggia tutta la Chiesa locale ed è segno della vita concreta della Chiesa.
Nell’adeguamento della nostra chiesa madre, la Cattedra trova posto all’ingresso dell’area del presbiterio sulla sinistra, orientata a 45°. Posizionata su tre scalini è ben visibile da tutta l’assemblea e vicina a essa, rivolta in modo particolare all’ambone. Un intreccio di pietra rossa e rosata di Castellavazzo, in armonia con i materiali e i colori del resto dell’edificio, assieme alla seduta e allo schienale in legno impreziosiscono questo luogo e lo inseriscono nella storia concreta della nostra terra.
La Cattedra è utilizzata solamente dal Vescovo, in tutte le altre celebrazioni si utilizza la sede presidenziale che, nel nuovo assetto, trova posto su due scalini davanti al primo pilastro sempre in dialogo con l’assemblea e con l’ambone.
Alex Vascellari
- La cattedra prima delle riforma liturgica del Concilio
- La prima cattedra
- La soluzione provvisoria alla fine degli anni Sessanta
- Rendering del nuovo progetto