A questo punto della stagione la prova costume l’abbiamo già fatta e abbiamo già deciso se prendere un po’ di sole in bermuda o se avremo l’abbronzatura da muratore o da ciclista, perché l’estate è arrivata all’improvviso. Mentre noi ci prendiamo cura dell’estetica e della bellezza del nostro corpo, in una fortunata coincidenza – ciclicamente in estate – leggiamo il discorso sul “pane di Vita” che Giovanni riserva al sesto capitolo del suo vangelo.
Posso mangiare una fetta di pane e nutella in più alla mattina? Ma quella fetta di formaggio alla fine del pasto sta proprio bene! Al matrimonio in piena estate non posso proprio rinunciare alla torta nuziale!
Insieme a queste domande molto materiali e quotidiane legate al mangiare e al nostro sostentamento, Gesù dopo averci mostrato la settimana scorsa il segno dell’abbondanza nella moltiplicazione dei pani, oggi ci fa riflettere sull’origine di questa abbondanza, è bello mangiare ma chi fa questo dono?
Ancora una volta ci viene in aiuto l’Antico Testamento con la vicenda del popolo d’Israele che, appena uscito dalla terra d’Egitto, si trova senza cibo e si lamenta con Dio perché prima – durante la schiavitù – avevano le pentole di carne e non c’era da preoccuparsi. Dio si prende cura ancora una volta del suo popolo e alla sera arrivano le quaglie e alla mattina la manna! E questo è servito come segno per ricordare agli esuli che Dio era fedele al suo patto, all’alleanza.
Gesù riprende il segno compiuto e invita ad andare oltre, ad alzare lo sguardo perché non basta saziare la fame di pane, il nostro mangiare indica anche altro, il bisogno di nutrimento, di introdurre energie e sostanze da fuori per sostenere il corpo nella sua interezza. Sempre quando parliamo di cibo e corpo ci accorgiamo che noi siamo un’unità, non possiamo dividerci: anche la tripartizione classica risulta debole, da questo punto di vista.
Quando abbiamo fame, scopriamo che il corpo ci manda dei segnali per sopravvivere, quando siamo stressati il corpo (quindi anche il cervello) ci manda dei segnali per prenderci cura di questa situazione difficile, quando siamo innamorati ci vengono le farfalle nello stomaco e il nostro corpo (il cuore e tutti sentimenti) ci chiedono attenzione. Gesù prende per lo stomaco i suoi discepoli e le folle, ma per vedere l’oltre che c’è in noi: i nostri bisogni si incontrano e si scontrano nel nostro corpo e da lì parte una magica sinfonia o una crudele lotta per stare bene.
Il Suo oltre, il nostro oltre, è l’origine di quel pane, c’è chi davvero si prende cura di noi in maniera olistica perché vuole il nostro bene che poi si traduce anche nel credere. La nostra relazione con Dio è sostenuta dalla cura che lui dimostra nei nostri confronti e sostiene la nostra fede. Non lo fa solo una volta o ogni tanto, lo fa sempre: Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».
Lasciamoci trasportare dalla forza del pane, dal suo gusto genuino e dal sapore domestico per sentire la presenza amorevole di Dio.
“Ciò che conta è piuttosto indicare la giusta direzione, puntare lo sguardo e i desideri verso ciò che davvero rimane. Forse non sarà subito compreso, forse sarà sporcato dai nostri limiti ed errori, ma è la missione che è affidata a ciascuno di noi, mentre ogni giorno siamo circondati dalle mille domande del mondo” (C. Curzel).