Facciamo un piccolo passo indietro. Narrando la nascita del primo Anno Santo, quello del 1300, ho fatto notare che esso nasce dal convergere di tre elementi: vi è un TEMPO (l’anno secolare, in seguito ogni 25 anni), in cui recandosi pellegrini in un LUOGO (Roma, nelle quattro basiliche principali) si riceve il dono della sanazione completa delle ferite interiori lasciate dal peccato, ovvero L’INDULGENZA. Questo dono della misericordia divina è il cuore dell’Anno Santo.
Su queste pagine han già scritto sull’indulgenza sia il vescovo, che don Davide Fiocco, che sono teologi. Io mi limitò a parlarne dal punto di vista storico: come sia nata questa prassi e quindi come si è evoluta la riflessione dei teologi e l’insegnamento della Chiesa.
Nel Medioevo era assai viva la consapevolezza del peccato, e di conseguenza si sentiva vivamente il bisogno di perdono. Ed è in questo bisogno generale di remissione che nasce e prende forma la pratica e la dottrina della indulgenza.
Per capire la nascita dell’indulgenza, bisogna considerare il contesto più ampio in cui essa è nata, vale a dire la celebrazione del sacramento della penitenza nel Medioevo.
Accadde che all’inizio del Medioevo, per la precisione nel VI secolo, da una regione periferica dell’Europa, l’Irlanda, si andò diffondendo nel resto del continente un modo nuovo di celebrare il sacramento della penitenza, rispetto a quello in uso nella Chiesa antica; questo nuovo rito, nel volgere di un secolo, finì per imporsi a tutta la Chiesa latina.
Il peccatore si presentava al sacerdote e gli manifestava i suoi peccati. Il sacerdote gli assegnava le opere di penitenza da svolgere, avendo presente che ad ogni tipo di peccato corrispondeva una ben precisa penitenza, determinata da un tariffario. Questi elenchi di penitenze, che i confessori consultavano, erano i Libri poenitentiales; in essi si trova determinata con precisione la penitenza per ogni genere di colpa commessa; insomma una “tariffa” di penitenza da sostenere per ricevere l’assoluzione.
Dopo aver svolto le opere di penitenza, il peccatore si presentava una seconda volta dal sacerdote, e solo in questo secondo incontro riceveva l’assoluzione dei peccati. Insomma le tappe del sacramento della penitenza erano:
- confessione al sacerdote;
- svolgimento della penitenza assegnata;
- assoluzione dal sacerdote.
Si noti che nella penitenza tariffata, la confessione del peccato era il mezzo per permettere al confessore di fissare la tariffa di penitenze da compiere; l’essenziale era invece costituito dall’espiazione che doveva compiere il penitente.
Le opere di penitenza consistevano in mortificazioni corporali di lunga durata: digiuno a pane ed acqua per settimane o mesi, dormire sul tavolaccio, fustigazioni. Ad esempio, da un penitenziale del VII secolo: ferire a sangue una persona in una rissa, se lo fa un ecclesiastico, digiunerà a pane ed acqua per un anno, se lo fa un laico a pane ed acqua per 40 giorni; rubare un capo di bestiame di grossa taglia: oltre alla restituzione, 120 giorni di digiuno a pane ed acqua; lavorare la domenica: tre giorni di digiuno a pane e acqua; chi ha mormorato sul conto d’altri: reciti per due giorni i sette salmi penitenziali.
Queste penitenze si assommavano tra loro. Più di una persona giungeva ad assommare nel corso del tempo un numero di anni di penitenza, per i quali una vita umana non era sufficiente a soddisfare alle penitenze imposte. Avvenne così che questo sistema assai severo finì per produrre delle attenuazioni, che erano delle commutazioni della penitenza in opere, che si potevano svolgere più facilmente e in un tempo più breve. Il confessore poteva concedere al penitente il riscatto della penitenza in opere più facili: elemosine ai poveri, servizi gratuiti alla Chiesa, pellegrinaggi a luoghi santi. Comincia a spuntare il primo germoglio dell’indulgenza, come la pianta è cresciuta e si è sviluppata…nella prossima puntata.
Nell’immagine: Rogier van der Weyden, Trittico dei sette sacramenti, particolare (il sacramento della confessione), 1445-1450, Anversa, Museo reale.