Presentato a Roma il 25 giugno scorso

Un nuovo direttorio per la catechesi

Tre idoli da abbandonare, un deserto con alcune oasi

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È il terzo Direttorio per la catechesi, dopo quelli del 1971 e del 1997; ma si può dire che è il primo in cui la catechesi è «legata all’opera di evangelizzazione e non può prescindere da essa». Vale a dire: questo Direttorio abroga, se il verbo non è troppo forte, ogni forma di catechesi che non sia evangelizzazione.

Ciò che è successo fuori della Chiesa

Il Direttorio per la catechesi presentato a Roma il 25 giugno scorso riconosce che sono cambiati due contesti: quello intraecclesiale e quello extraecclesiale. Riconosce, questo testo, che la catechesi è oggi immersa in una cultura digitale che interessa non più una zona o un popolo o un gruppo ma tutto il mondo. Si tratta di un nuovo modello di comunicazione e di formazione, qual è quello col marchio del digitale, che interessa «la questione antropologica decisiva in ogni contesto formativo, cioè quella della verità e della libertà»: così si è espresso l’arcivescovo Rino Fisichella alla presentazione del documento. Il Direttorio per la catechesi presenta non solo le problematiche inerenti a questa cultura – così come Agostino o Ambrogio o Gregorio Nazianzeno presentavano, denunciavano e vagliavano le problematiche inerenti alla cultura tardoantica – ma anche propone i percorsi da effettuare perché la catechesi «diventi una proposta che trovi l’interlocutore in grado di comprenderla e di vederne l’adeguatezza con il proprio mondo». In ogni caso, la cultura digitale è «un confronto imprescindibile per la Chiesa in forza della sua competenza sull’uomo e sulla sua pretesa veritativa».

Ciò che è successo dentro la Chiesa

Già lo schema «fuori» e «dentro» sarebbe contestato – a buon diritto – dal documento, che nota come la Chiesa non sia estrinseca, come un meteorite rinvenuto in mezzo alle rocce dolomitiche, alle dinamiche del mondo. Tuttavia, per ragioni di buon ordine, il documento elenca prima i temi del contesto in cui la Chiesa opera e poi i cambiamenti da effettuare nel contesto che la Chiesa è. E proprio su quest’ultimo tema il Direttorio pone una pietra miliare: «l’evangelizzazione occupa il posto primario nella vita della Chiesa…: l’evangelizzazione è il compito che il Signore Risorto ha affidato alla sua Chiesa perché ci sia nel mondo di ogni tempo l’annuncio fedele del suo Vangelo». Ne consegue, per la catechesi, che l’annuncio di Gesù Cristo non presenta «una fede ovvia, da recuperare nei momenti del bisogno», bensì «un atto di libertà che impegna tutta la vita». E ancora: «La scelta di fede, infatti, prima di considerare i contenuti a cui aderire con il proprio assenso, è un atto di libertà perché si scopre di essere amati».

Tre idoli da abbandonare

Il documento, è vero, non usa il linguaggio veterotestamentario degli «idoli», espressivo ma forse eccessivo, per indicare che cosa la catechesi deve ripudiare. Sul primo «idolo», la Chiesa italiana ha già compiuto passi da gigante: la catechesi non è scuola e la scuola non è la catechesi. La scuola offre categorie interpretative, logiche e critiche, di una realtà; la catechesi propone una Persona, Gesù Cristo, a cui aderire. La scuola ha un calendario, valutazioni, istituzioni; la catechesi dura tutto l’anno e non si piega ai ritmi della scuola, non valuta una prestazione, è tessuta da rapporti interpersonali e non, come nella scuola, da persone che rivestono ruoli (docente, alunno, preside…) con una deontologia e con rapporti sanciti da una normativa.

Ben più operativo il secondo «idolo»: è il nodo gordiano, da sciogliere subito, tra catechesi e sacramenti: «si fa la catechesi per ricevere un sacramento. È ovvio che una volta terminata l’Iniziazione si crei il vuoto per la catechesi», ha detto il vescovo Fisichella. Ci vorrà uno sforzo non da poco per immaginare e proporre una catechesi che non prepari alla prima confessione o alla prima comunione (della Cresima si dirà subito), bensì all’adesione a Cristo.

Il terzo idolo è «la strumentalizzazione del sacramento a opera della pastorale». Ed ecco il caso della Cresima: «i tempi del sacramento della Confermazione sono stabiliti dalla strategia pastorale di non perdere il piccolo gregge di giovani rimasto in parrocchia e non dal significato che il sacramento possiede in sé stesso nell’economia della vita cristiana».

Un deserto con oasi

Spontaneo il paragone di ciò che attende la catechesi con l’esperienza esodale: l’abbandono di un territorio ben conosciuto per inoltrarsi, con una partenza immediata e senza il tempo di prendere molto bagaglio, verso una nuova destinazione: è quello che il popolo di Dio ha sperimentato nella sua fondazione, nella prima notte di Pasqua. In questo deserto però ci sono due oasi, o, se l’immagine è più congruente, in questa alta via dolomitica ci sono due bivacchi o due rifugi. Ecco il primo: «La via della bellezza», «che è una delle fonti della catechesi» e che valorizzerà «il patrimonio di arte, letteratura e musica che ogni Chiesa locale possiede».

Un altro «rifugio» è la mistagogia (che, per carità, non diventi l’unica parola difficile da insegnare, così come si insegnava la parola «transustanziazione» agli allievi del catechismo). Non consiste solo nella valorizzazione dei segni liturgici, bensì nel «coinvolgimento di una comunità che celebra».

Un riassunto completo del documento prenderebbe atto della dimensione catecumenale e kerygmatica. E se si vuole riassumere in uno slogan, o, come si dice oggi, in un tweet: «dai contenuti all’atto di fede».

don Giuseppe Bratti